[ Carocci, Roma 2023 ]
Riallacciandosi a una precisa tradizione di studi, di scrittura esegetica e poetica, lo scopo principale del libro di Scaffai, come spiega nell’Introduzione, sembra essere la volontà di mostrare che uno sguardo critico, nei confronti della Storia e della società, può essere tema, nonché spirito che anima tanto la scrittura saggistica quanto la poesia e il poeta stessi.
Da questo comune punto d’origine si muovono i dodici capitoli del saggio, raccolti in due parti. I primi sei si soffermano sulla scrittura di alcuni poeti del Novecento, quali Sereni, Raboni, Orelli, Hindermann e Rosselli: in questa prima sezione la scelta è legata al rapporto che questi intrattengono con Montale, non soltanto in quanto autore-modello, col suo stile chiuso e il suo atteggiamento di distacco, ma specialmente in quanto esempio critico e poetico, col suo carico di oggetti, atmosfere e parole meditate. I successivi sei capitoli si occupano invece di riflettere sulle prospettive della critica a partire dall’attività di illustri predecessori, ai quali Scaffai ha scelto di riferirsi da sempre: per commentare Montale – si pensi alle Prose narrative (2008) o a La bufera e altro (2019) – o per analizzarne i tratti stilistici – come in Sul tempo in Montale (2008) e Il lavoro del poeta (2015) – ma anche per tracciare un’efficace critica della critica, di una critica cioè che conservi la consapevolezza dei propri limiti quanto quella dei propri target.
A tal proposito, è fondamentale la lezione di Pier Vincenzo Mengaldo, la cui attività è emblema del tipo di scrittura critica valorizzata da Scaffai. La «sovrana confidenza […] che incide anche sull’elegante perentorietà delle formule» (p. 170) di Mengaldo deriva sicuramente dal desiderio impellente di impegnarsi per esprimere un giudizio che sia dotato di competenza tecnica, prima di abbandonarsi a pareri di parte o al proprio sentore etico-ideologico. Come hanno insegnato Mengaldo e Fortini, spiega Scaffai, negli anni Settanta si avvertiva la necessità di evitare il descrittivismo “alla moda” e la galvanizzazione della forma, mero sotterfugio per legittimare un’opera o promuoverne l’autore nel canone. Ancora oggi però si sente il peso di una critica non sempre di qualità, la quale dovrebbe ambire tanto a una architettura ottimale della prosa, quanto alla pacatezza dei toni e alla costanza degli sforzi; in tal modo sarebbe possibile «recuperare anche una mediazione » (p. 141) rivolta al pubblico meno specializzato, o che si crede più specializzato di quanto non sia.
La molteplicità di scrittori trattati nel saggio è una delle ragioni dei diversi approcci di analisi adottati nei capitoli, scritti peraltro in luoghi e momenti diversi, dal 2015 al 2023: rielaborati in parte, convivono con equilibrio intorno alla prospettiva critica di Scaffai, che tiene conto di formazione e biografia per poter descrivere l’esito poetico e/o critico di ogni singolo autore, e i conseguenti esiti critici che lo riguardano. Altro trait d’union, come si è detto, è Montale. Uno dei maggiori punti di forza del libro sta nell’uso delle fonti che, con un’analisi talvolta acuta, consente di poter individuare corrispondenze (di lettura, critiche, personali) di autori diversi con Montale, e così fra loro.
Il campo di studio del saggio è sicuramente ampio, ma può essere ristretto a un tratto unico: l’essenzialità lirica, intesa come compattezza tematica e formale di “scorie” (cfr. p. 41), cioè frammenti vissuti dall’io o dalla realtà in cui l’io è immerso, è ciò che la migliore poesia italiana può esprimere, risalendo a Montale e, attraverso Leopardi, fino a Dante. D’altra parte la poesia, ci dice chiaramente Scaffai, necessita oggi e sempre di un impianto critico che la valorizzi, spiegando le motivazioni retrostanti agli aspetti formali e contenutistici più o meno celati tra i versi.
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