[ prefazione di R. Ronchi, Garzanti, Milano 2023 ]
Il volume che raccoglie Tutte le poesie di Antonella Anedda, apparso in libreria nel settembre del 2023 e subito riedito il mese successivo, è uscito nella collana garzantiana «I grandi libri». Si tratta di una collana che punta a consegnare al grande pubblico (e perciò in edizione virtuosamente economica) i classici che non possono mancare in una biblioteca: da Petrarca a Leopardi, fino a Svevo, Pirandello, ecc. Non solo, ma la stessa collana, proprio con le ultime uscite, propone nomi e libri del secondo Novecento sulla cui centralità c’è piena convergenza: Rosselli, Luzi, Caproni. Se ne ricava che «I grandi libri» Garzanti non è uno strumento editoriale canonizzante; è piuttosto una collana che prende atto del canone già esistente: sia di quello che possiamo definire ufficiale (i valori espressi dalla critica), sia di quello per così dire “diffuso” (la percezione del lettore comune). Assume allora ancora più valore l’operazione compiuta per Anedda: non solo una delle rare autrici del catalogo (tra le altre Pozzi, Deledda, Rosselli), ma soprattutto una delle pochissime voci che hanno scritto e pubblicato nel XXI secolo: oltre ad Anedda troviamo Mario Benedetti (uscito nel 2017) e, in verità in maniera un po’ sorprendente, Ludovica Ripa di Meana (2020). Si tratta dunque di un riconoscimento importante, decisivo, che vuole ratificare quello che sembra essere uno stato di fatto: Antonella Anedda è un classico della poesia italiana contemporanea, su cui non si possono aprire discussioni.
Semmai si deve riflettere sui modi in cui tale «classicismo moderno» (formula usata da Mazzoni per Anedda) si innerva nell’opus aneddiana.
Ora, a vederle riunite, le sei raccolte di Anedda (da Residenze invernali del 1992 fino a Historiae del 2018) danno un senso di compiutezza e di coesione tale da poter davvero formare un unico libro (quello appunto di Tutte le poesie): la costrizione editoriale, insomma, coincide con una compattezza poetica.
In linea con la più alta tradizione del Novecento italiano Anedda pone al centro della sua poesia la dialettica, mai pacificata, tra soggetto e oggetto. Da un lato un mondo concreto – di oggetti appunto – che però si slabbra continuamente e che a fronte di una sua dura materialità («metallo e legno», «la pietra / su cui puntare l’osso del ginocchio», «fogli» e «lenzuola ») si rivela instabile, e sempre scosso dallo sguardo indagatore di chi osserva, e sottoposto dunque alla sua riformulazione («Il mondo è ciò che percepiamo» dice l’amato Husserl, citato dalla stessa Anedda). Al contempo è forte in Anedda – e assume anche nervature etiche e morali – l’esigenza di sottrarsi a un autocentrismo egotico: l’io non può tutto, e la sua azione (anche quella percettiva) è vincolata da «sassi», «corpi», «oggetti» (ci limitiamo a citare Residenze invernali). Questa frizione testimonia che non c’è corrispondenza tra io e mondo: soggetto e oggetto si incontrano ma non combaciano, e la percezione del primo non coglie i confini netti della materia collocata in uno spazio (e infatti è «lo spazio che traduce le cose», come si legge in Chiusa di vento). È grazie a questo non allineamento che si aprono «fessure» (parola chiave in tutta la produzione di Anedda: «e notte tra la notte: una fessura», «Non sarà l’assenza di fessura di ogni vita», citando da Notti di pace occidentale); «fessure» che possono concedere una «tregua» all’io assediato, o addirittura riescono ad articolarsi come montaliane maglie rotte nella rete, suggerendo dunque ipotesi di senso: un senso chiaramente mai agguantato né raggiunto, eppure lì, al di là della rappresentazione del mondo e della dialettica imperfetta tra soggetto e oggetto.
Ci troviamo lungo il solco di una tradizione moderna (non solo italiana), che ha continuato a vedere nell’atto poetico uno strumento umano di conoscenza: non solo Sereni, ma anche Giudici, Zanzotto e soprattutto Amelia Rosselli; una generazione che ha segnato gli anni Sessanta, così come Antonella Anedda determina la poesia italiana dagli anni Novanta a oggi.
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