[ Laterza, Bari-Roma 2024 ]
I criteri della valutazione della ricerca restringono gli spazi della saggistica, negando quell’incontro fra realtà e soggetto pensante che ne ha costituito la forza tra Montaigne e il Novecento inoltrato. Ma l’obbedienza allo spirito dei tempi non è sempre una virtù; e ci sono infatti eccezioni.
Tale è Le statue giuste di Tomaso Montanari, storico dell’arte e intellettuale impegnato, la cui esposizione mediatica spicca non solo per la qualità del pensiero e dell’argomentazione ma anche per l’oscillazione del nostro ceto intellettuale tra l’abrupta contumacia e il deforme obsequium (le espressive categorie sono di Tacito). Il saggio – scritto con l’eleganza di una narrazione avvincente e con lo scatto argomentativo tipico del pamphlet – ragiona sullo spazio pubblico e sul modo in cui esso è occupato da un sistema di valori che può essere tramandato in modo inerte o può essere interrogato e contestato: i nomi delle strade e delle scuole, le statue nelle piazze. Non è certo una sorpresa il fatto che una percentuale infima delle strade e dei monumenti sia in Italia intitolata a donne (la maggior parte delle quali sante o martiri); ma sorprende che decenni di cultura democratica e della parità non se ne siano fatti in nessun modo carico. E non sorprende l’ostinata intestazione di innumerevoli statue, strade e scuole della repubblica al firmatario delle leggi razziali, il fuggitivo dell’8 settembre, Vittorio Emanuele III; ma sorprende la trama di segni che insistono a celebrare la trista vicenda coloniale italiana: un’ottima base per il revival neofascista di questi anni (con intitolazioni al boia Graziani, a Giorgio Almirante e al fratello del duce Arnaldo Mussolini), con un movimento che, mentre condanna ogni revisione, nei fatti tende a cancellare le esili tracce del progetto costituzionale.
Ragionare di questo significa interrogare il lato oscuro della coscienza collettiva; e costringe a misurarsi con il fenomeno complesso della cancel culture scansando le idiosincrasie perbeniste dei difensori del mondo così com’è. Montanari mostra con eleganza che la vera cancel culture ha agito e agisce costantemente nel modo in cui i ceti dominanti codificano il discorso storico e lo consegnano allo spazio pubblico, e che è frutto appunto di spaventose cancellazioni la persistente intitolazione di molte strade alle peggiori malefatte coloniali italiane, così come una cultura della cancellazione ha colpito e colpisce le donne scrittrici, scienziate, artiste, registe, ecc. Avere il coraggio di prendersi cura dello spazio pubblico significa sapere che il presente ha comunque la responsabilità di decidere del passato, e che ogni scelta è parziale e che non scegliere significa perpetuare gli abusi, le censure e gli orrori (per esempio quelli coloniali, fascisti, sessisti). «Il vero oggetto di contesa non è il giudizio sul passato, è il progetto sul futuro» (p. 120).
Interrogarsi sull’uso simbolico dello spazio pubblico significa anche ragionare su chi decide di intervenirvi in modo conflittuale e scandaloso, come gli attivisti di “ultima generazione”, che imbrattano (senza danni) monumenti e quadri per scuotere dall’indifferenza con la quale rischiamo di consegnare la terra (e le opere d’arte) alla catastrofe ambientale. Anziché accodarsi alla facile condanna filistea di questa forma di lotta – condanna che vede uniti reazionari di destra e di sinistra –, Montanari vi legge un modo problematico di vitalizzare lo spazio e il suo valore simbolico. E prospetta dunque soluzioni capaci di costruire uno spazio pubblico che, conservando le tracce del passato (inclusi i monumenti più sgradevoli), tuttavia le sappia collocare in un contesto nuovo, capace di rileggerle e di relativizzarle. Una cultura delle statue giuste deve saper costruire uno spazio che non si limiti a celebrare gli orrori del passato o a rimuoverli ma sappia farne racconto e progetto. Come un saggio ben scritto e ben argomentato, anche lo spazio pubblico può avere infine lo scopo di suscitare pensiero, e di farci responsabili: del passato e del futuro.
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