[Il Saggiatore, Milano 2023]
Che Poesie dell’Italia contemporanea non sia un’antologia stricto sensu è subito chiaro sfogliando il volume: testi diversissimi di autori e autrici di generazioni e tendenze distanti sono riprodotti l’uno di seguito all’altro all’interno di cinque blocchi cronologici, uno per ciascun decennio preso in considerazione: 1971-1979 (La grande deriva); 1980-1989 (Allegorie, miti, mutamenti); 1990-1999 (Lo spettatore immobile); 2000-2009 (Conglomerati e dispersioni); 2010-2021 (Una fede in niente ma totale). Per l’impostazione annalistica il modello è La poesia degli anni Settanta, un’antologia curata da Antonio Porta (Feltrinelli 1979) che prendeva in considerazione, però, un arco cronologico molto meno esteso.
È lo stesso curatore, Tommaso Di Dio, a spiegare, nelle pagine introduttive, la ratio che determina la struttura del volume: «la forma antologica classica – fondata sugli assi cartesiani del profilo dell’autore e della cornice generazionale – pur restando un’opzione praticabile, non credo riesca a farsi carico della radicale pluralità che è una delle novità sostanziali della poesia del nostro tempo» (p. 14). Così Poesie dell’Italia contemporanea si presenta come un «esperimento letterario» sulla forma dell’antologia (come tale, concederebbe al curatore «libertà sugli assi fondamentali di cui è costituito», p. 15), un esperimento nato dall’esigenza di trovare una forma di rappresentazione della poesia contemporanea capace sia di dar conto del suo sviluppo storico sia di rendere ragione della «simultaneità apparentemente ingovernabile» che la caratterizza, «senza per forza cadere nel tranello di un canone ristretto di anacronistica faziosità» (p. 14). Nell’Introduzione Di Dio insiste moltissimo su due aspetti apparentemente in conflitto ma – spiega – correlati: per un verso, il carattere plurale e «straripante» della poesia dell’ultimo cinquantennio, «uno dei più vivaci, fertili, inventivi laboratori di esperienze linguistiche ed esistenziali in lingua italiana»; per un altro, la scarsa visibilità di questo multiforme paesaggio poetico, «perché di difficile reperibilità, perché oscurato dal volume e dal rumore di altre scritture, perché non sempre divulgato e promosso adeguatamente » (p. 11), ma soprattutto per difetto della critica di fronte alla sua «radicale pluralità».
Tommaso Di Dio ha selezionato con acume ed equilibrio un numero imponente di testi poetici (più di seicento) tratti da centinaia di libri, scritti da centinaia di autori e autrici. I testi non sono commentati, perché il lettore li possa incontrare «come si incontra un individuo, un volto, una persona» (p. 26); e se «ciascuno trova la propria strada per entrare nel testo», analogamente «il lettore potrà tracciare una grande varietà di percorsi fra le poesie di questo volume» (p. 955), a partire dal «racconto di alcuni percorsi personali» del curatore (Percorsi, intrecci, pp. 955-1021). Poesie dell’Italia contemporanea ha il pregio di mettere a disposizione, tenendole insieme e facilitando la possibilità di cogliere dissonanze e filiazioni, moltissime poesie scarsamente (o per nulla) visibili, valorizzando anche quei libri eccentrici, ma capaci di incidere sulla morfologia del paesaggio complessivo, che un impianto fondato sui profili autoriali avrebbe necessariamente escluso. E un merito che va riconosciuto al curatore è quello di aver portato l’attenzione sui limiti – ancorché della poesia – degli strumenti della critica di fronte alla complessità vasta e nebulare del campo poetico presente. Ma – ecco l’insidia di una simile operazione – per evitare quello del «canone ristretto di anacronistica faziosità», Tommaso Di Dio rischia di cadere nel tranello teso dall’illusione dell’antologia panopticon, che assottiglia proprio lo spazio della mediazione critica e rischia di piegare la figura del curatore alla postura dell’osservatore sorvegliante, esponendo la funzione stessa del lavoro critico al rischio di oscillare pericolosamente tra i poli (solo apparentemente opposti) dell’irrilevanza e dell’arbitrarietà.
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