[Mondadori, Milano 2024]
Ci sono libri che, sin dalla loro uscita, si impongono come uno spartiacque perché capaci di spalancare nuovi orizzonti e creare varchi dove sembrava esistere solo un muro. Nato di donna di Adrienne Rich è uno di questi. Pubblicato per la prima volta nel 1976, è stato recentemente riproposto da Mondadori, con la traduzione di Maria Teresa Marenco e una prefazione di Nadia Terranova. Rimasto a lungo fuori catalogo, questo classico della letteratura femminista non è però mai stato dimenticato e non ha mai smesso, come sottolinea la stessa Terranova, «di produrre pensiero».
Rich parte da una constatazione: ogni essere umano è nato da una donna. Su questa premessa costruisce un’analisi profonda della maternità, non come esperienza esaltata o idealizzata, ma come realtà complessa e ambigua. Da dove viene quell’intreccio di rabbia e amore che tutte le madri conoscono? Come convivono il desiderio di protezione e la sensazione di soffocare, l’amore incondizionato e il senso di prigionia? Esiste un legame tra l’esaltazione culturale della maternità e la marginalizzazione sociale delle madri? Con coraggio, Rich attinge alla propria esperienza di madre di tre figli, esplorando quell’ambivalenza che sembra connaturata alla maternità.
È possibile salvare qualcosa? Distinguendo tra maternità come esperienza e maternità come istituzione, Rich cerca di rispondere a queste domande. Cerca, cioè, di costruire un’alternativa che consenta di non subire passivamente le norme sociali che trasformano la maternità in una «sacra vocazione» e denuncia la negazione di sé imposta alle donne. Particolarmente incisive sono le pagine in cui Rich descrive l’espropriazione patriarcale della maternità che da potere riconosciuto alle donne diventa funzione imposta alle stesse: un processo che ha radici culturali, simboliche e mediche. Rich ripercorre le tappe che hanno portato al progressivo isolamento delle madri, riconoscendo come «la specializzazione della maternità per le donne, la separazione tra la casa e il mondo degli uomini» sia «uno sviluppo relativamente recente nella storia umana» e quindi smantellabile. La maternità istituzionalizzata si rivela così una prigione finalizzata a controllare il corpo delle donne e ad asservire metà della popolazione alle funzioni di procreazione e cura. Quest’appropriazione «ha alienato la donna dal suo corpo, incarcerandola in esso» e trasformandolo in un oggetto inerte manipolato da mani maschili, come dimostra la progressiva mascolinizzazione della pratica ostetrica, un fenomeno carico di implicazioni ancora oggi, in un contesto in cui i diritti delle donne sono minacciati e lo spazio per l’autodeterminazione si restringe pericolosamente.
Si riconosce, nell’impianto stesso del libro, il clima culturale e militante degli anni Settanta, che faceva del “partire da sé” e della politicizzazione della sfera intima elementi centrali della rivolta sociale e culturale. Tuttavia, Nato di donna va oltre. Attraverso l’esperienza dalla maternità, Rich mette in discussione l’intero sistema di pensiero alla base della cultura patriarcale. In Italia, una strada simile l’aveva intrapresa Carla Lonzi: per entrambe l’obiettivo non è integrare le categorie oppresse al sistema dominante ma cambiarlo radicalmente. Rich smantella il dualismo alla base della cultura patriarcale, rivelando l’artificialità del binarismo e delle gerarchie che ne derivano. Opposizioni come esterno-interno o potere-impotenza acquistano un nuovo senso se rilette attraverso l’esperienza femminile. È forse questo uno dei lasciti più fecondi del pensiero di Rich, che non oppone ma riunisce in un continuum l’esperienza individuale e collettiva. Capendo da dove veniamo e ripensando il modo in cui guardiamo e viviamo la maternità, dando a ogni persona le possibilità per viverla in maniera consapevole e scelta, trasformiamo la società intera. Così, la maternità travalica la sfera dell’intimo per configurarsi come un motore di cambiamento politico e una possibilità di riscrittura della società.
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