[a cura di I. Moscardi, Vernon Press, Wilmington 2023]
La ricorrenza, nel 2020, del settantesimo anniversario dalla scomparsa di Cesare Pavese ha ridato, com’era prevedibile, un salutare slancio agli studi sull’autore e il volume curato da Iuri Moscardi si colloca nel migliore dei modi nella scia di questa rivitalizzazione. I sette contributi accolti procedono per un verso al riesame di alcuni dei nodi centrali della produzione pavesiana, per l’altro suggeriscono nuove piste interpretative, restituendo comunque – pur con una varietà di approcci – un profilo organico dello scrittore, riportato, come scrive Moscardi nell’introduzione, alla sua dimensione europea e internazionale.
L’analisi di Salvatore Renna si focalizza sul ruolo del paesaggio, in particolare nei Dialoghi con Leucò, notando come il mito sia la lente attraverso cui Pavese lo rilegge, «because his long-time reading of classical literature has made him aware of the deep relation between [these] two elements» (p. 12). Maria Concetta Trovato e Antonio Garrasi si soffermano invece sulla dicotomia uomo-animale, da Lavorare stanca al caso esemplare – ancora una volta – dei Dialoghi, in cui si giunge a un’ibridazione dei due mondi, rintracciando in ogni caso negli animali pavesiani «an archetypical value and […] a vehicle of poignant textual and metatextual meanings» (p. 32). Monica Lanzillotta traccia un’accurata analisi del tipo umano della prostituta nella produzione dello scrittore, letta come punto di convergenza fra tre fondamentali temi pavesiani: oltre a concorrere alla rappresentazione della modernità urbana, diviene alter ego dell’io e soprattutto partecipa al rito di passaggio dall’adolescenza alla maturità dei protagonisti.
Particolarmente approfondita risulta la ricostruzione dell’americanismo e dell’attività di traduttore di Pavese condotta da Kim Grego: il ridimensionamento apparente che sembra derivare dall’analisi esalta nel complesso la figura di studioso e traduttore dell’autore attraverso una corretta lettura dei tempi e delle modalità della sua personale scoperta dell’America, congedando un’ormai inadeguata idea di staticità. Il saggio di Mark Pietralunga, con altrettanta attenzione, analizza la difficile fortuna editoriale delle opere di Pavese in America, esplorata attraverso materiale epistolare inedito.
Nuove prospettive di studio sull’opera pavesiana aprono gli ultimi due contributi: Francesco Chianese stabilisce un confronto tra Pavese e un autore pur molto diverso come Pier Paolo Pasolini, mentre Carlo Tirinanzi De Medici ne ripensa l’opera alla luce di un’inclusione nella temperie modernista, dalla quale è stato invece generalmente escluso, concludendo che «Pavese could be recognized as part of that movement, and the idea of Italian Modernism could be enriched by a new set of ideas and features» (p. 123). Il volume ha così il merito di indicare nuove fertili strade alla critica pavesiana, evidenziando la necessità di indagare l’opera dello scrittore con strumenti e prospettive sempre più aggiornati.
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