[Cesati, Firenze 2024]
Nel suo Gli eccentrici. Fantastico, bohème e Scapigliatura, Claudia Murru, partendo dalla parola «eccentrico», intende ricostruire quell’«estetica della marginalità» (p. 10) che caratterizza l’Ottocento letterario. L’indagine dell’autrice muove dalle discussioni romantiche intorno alla libera immaginazione per giungere, seguendo le atmosfere della bohème francese degli anni Trenta e Cinquanta, a sondare il rapporto tra norma ed eccezione, tra normale e patologico, tipico di quella Scapigliatura che riaccoglie tutto ciò che minava le certezze del reale, a partire proprio dal soprannaturale, dal fantastico e da un campionario di «soggettività fuori controllo» (p. 11). È E.T.A. Hoffmann a fare da precursore di questo specifico contesto culturale.
Da una parte, infatti, si constata come in Italia il fantastico non abbia trovato terreno fertile per attecchire in piena autonomia; dall’altra, sarà proprio il fenomeno della ricezione francese di Hoffmann (l’hoffmannisme) a eleggere il fantastico tra i modelli letterari di riferimento della Scapigliatura nostrana. Ricordando come l’aggettivo fantastique sia riferibile all’elemento soprannaturale, a ciò che nasce dall’immaginazione e, infine, a un’indole malinconica (di chi, cioè, è incline a fantasticare), Murru ripercorre la discussione sul tema a partire dal saggio di Walter Scott sul «fantastic mode of writing», dedicato proprio al soprannaturale hoffmanniano, osservando come le ipoteche scottiane ne abbiano potuto inibire la fortuna in Italia. Scavalcando il dibattito francese sul soprannaturale, e recependo invece le prime discussioni sul realismo, la Scapigliatura sembrerebbe aperta, sottolinea Murru, a forme ibride di testi umoristici, fantastici e sensazionalistici, e capaci di inserire, sulla scorta del discorso di Victor Hugo, «il sublime nel cuore del grottesco» (p. 53). Si assiste, allora, alla duplice possibilità che l’io eccentrico, diventando altro da sé, sdoppiandosi – contrariamente all’idea di un individuo borghese coeso e unitario tipico della società postrivoluzionaria – inoculi il meraviglioso nel reale, oppure che quella stessa realtà diventi di per sé accostabile a un’esperienza delirante. Ecco quindi il personaggio eccentrico configurarsi «come un dispositivo narrativo posto a sconvolgere i presunti limiti tra mondo interiore ed esteriore, tra ideale e reale» (p. 84).
La puntuale ricostruzione di Murru, che, muovendosi da un piano lessicale e semantico, giunge a tracciare il clima culturale del medio Ottocento, prosegue con l’analisi del contesto in cui la Scapigliatura prende forma: le riviste umoristiche milanesi «Il Pungolo» e «L’Uomo di Pietra». Tra volontà di aggirare la censura austriaca, garantendo però una più ampia comprensione da parte del pubblico, il desiderio di denuncia delle condizioni che legano l’artista alle dinamiche di mercato (l’arte industriale o facile) e l’interesse politico-sociale nel tenere insieme dimensione collettiva e privata senza rinunciare alla messa in discussione dell’impalcatura mitologica risorgimentale (il romanzo di Cletto Arrighi ne è un chiaro esempio), la Scapigliatura si configura, dunque, come un espediente di «autorappresentazione che ridisegna l’immagine dell’artista e il senso della militanza culturale, operando una sintesi emotiva dei fallimenti storici e ideali della stagione precedente» (p. 115). Il percorso tracciato da Murru si conclude con la lettura di tre racconti scapigliati, a dimostrazione di come, tramite il filtro del fantastico, il linguaggio della medicina entri a far parte a pieno titolo della narrativa scapigliata, non tanto nei termini di una reazione polemica o di una «coincidenza di linguaggi » (p. 141), ma come una risorsa narrativa posta a indagare (e a scardinare) i limiti tra norma e eccezione, tra reale e ideale.
Lascia un commento