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rivista semestrale

anno XXXVII - terza serie

numero 91

gennaio/giugno 2025

Riccardo Castellana – Clotilde Bertoni, Nel nome di Dreyfus. La storia pubblica di un caso di coscienza

[il Mulino, Bologna 2024]

Occorreva forse la sensibilità del critico letterario per raccontare trame e sottotrame del processo più celebre e controverso della fin de siècle, per seguire i tanti capovolgimenti di fronte e i colpi di scena che resero l’affaire Dreyfus così simile a un feuilleton per alcuni, per altri a una tragedia, per molti a una colossale farsa. Di questo «romanzo della realtà», infatti, Clotilde Bertoni riesce a dare, in poco più di seicento pagine di prosa tesa e smagliante, non solo un resoconto minuzioso e accurato, ma anche una narrazione incalzante, quasi balzacchiana, gremita di personaggi che ritornano quando meno te lo aspetteresti e di circostanze tanto improbabili quanto vere. Émile Zola, protagonista principale ma non unico di questo romanzo storiografico, vi compare senza quel manicheismo etico che spesso gli si è voluto attribuire, ma piuttosto con le esitazioni e le debolezze che un personaggio complesso e autenticamente realistico richiede. Protagonista, s’intende, dell’altro processo, quello mediatico, che si celebrò parallelamente a quello giudiziario nei confronti del capitano ebreo Alfred Dreyfus, occasionato da un fatto di per sé abbastanza marginale, eppure talmente enfatizzato dalla destra nazionalista e antisemita da accendere la scintilla del dibattito pubblico, e da mobilitare la cultura progressista contro lo sciovinismo militarista e revanscista che, a più di vent’anni da Sedan, chiedeva un capro espiatorio al quale addossare le colpe di una democrazia troppo fragile e insicura.

Nessun “caso”, dunque, si sarebbe avuto se quelle vicende non fossero state discusse, commentate e passate al vaglio di intellettuali più o meno in vista, che presero posizione a favore di Dreyfus e, più spesso, contro di lui. E se Zola fu il paladino del partito innocentista, a essere sotto processo fu in realtà, come chiarisce bene Bertoni, il ruolo stesso degli intellettuali, divisi tra i fiancheggiatori della peggiore propaganda nazionalista e razzista, i sostenitori di un disimpegno motivato dalla necessità di salvaguardare la divisione dei ruoli del moderno sistema dei saperi e i convinti fautori dell’engagement. Snodo centrale del racconto è, in questo senso, la polemica tra Zola e lo storico della letteratura Ferdinand Brunetière, che in nome della specializzazione delle conoscenze invitava gli scrittori (e i critici letterari come lui) a non occuparsi di cose che non conoscevano direttamente e a lasciare agli specialisti le questioni di giustizia militare e di politica internazionale. Per Zola, al contrario, l’intellettuale può e deve occuparsi anche di ciò che esula dalle sue competenze, essendo pienamente legittimato dalla società a sconfinare di campo e a utilizzare il proprio sapere particolare come declinazione di un più generale spirito critico: è con questo spirito che, nei suoi articoli, l’autore dei Rougon-Macquart riuscì a cogliere le contraddizioni e le incongruenze degli atti processuali e del dibattitto pubblico, senza lasciarsi intimidire dalla censura e dal potere politico e militare. Che il libro di Bertoni venga pubblicato oggi, mentre le democrazie occidentali sono tentate dal restringere le libertà di critica al potere esecutivo e spingono per una subordinazione a quest’ultimo di quello giudiziario, è senz’altro incoraggiante. Ed è la dimostrazione che l’editoria accademica di qualità può ancora giovare alla vita civile.

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