Non sono gli argomenti di cui si occupa a essere originali, ma è la prospettiva a rendere Professing Criticism un libro che vale la pena di leggere e discutere. Guillory si muove alle radici dell’autocoscienza della critica letteraria contemporanea con uno sguardo che gli consente di problematizzare e storicizzare cose solo in apparenza evidenti: la sua “lettera rubata” non è un tema, né una questione, ma è rappresentata dalla capacità di ritornare su luoghi comuni del dibattito a proposito dello statuto della critica letteraria senza nostalgie o velleità. Il lettore impara presto a familiarizzare con questo sguardo, seguendo l’autore in un continuo esercizio di sdoppiamento, a cominciare dall’alternanza continua tra sincronia e diacronia: dalle radici della critica letteraria moderna, rintracciate nella pratica giornalistica, alla progressiva specializzazione del discorso critico, in connubio con il metodo scientifico e poi con un’implacabile spinta professionalizzante, Guillory traccia un percorso di ambivalenze. La natura composita della critica letteraria moderna ha prodotto, infatti, una sorta di dissociazione della critica contemporanea, come una forbice che si apre sempre di più verso il professionalismo da una parte – con le note derive di specializzazioni sempre più minute; pubblicazioni nate per essere “prodotti della ricerca”; processi di valutazione a tendenza oggettivizzante – e, dall’altra, una spinta politica e profetica fracassona che dovrebbe/ vorrebbe occuparsi dei “destini generali” degli individui, delle società, della storia.