[ BaoPublishing, Roma 2022 ]
Notte: un controllore del traffico navale cerca di contattare il centro operativo per comunicare lo stop immediato a un’imbarcazione che sta per schiantarsi contro il muro del porto, ma gli risponde un centralino automatico che inizia a elencare i tasti da premere per inoltrare la chiamata al giusto reparto, mentre la nave è sempre più vicina. Inizia così Le buone maniere di Daniel Cuello, vincitore del Gran Premio Romics 2023, una storia che mette in scena il potere subdolo dei regimi fascisti, che passa innanzitutto dal controllo e dal blocco della parola. La censura è al centro della realtà in questo terzo volume a tema distopico che, dopo Residenza Arcadia (2017) e Mercedes (2019), mette in scena una nazione non ben definita, cupamente simile all’Italia contemporanea, governata da un potere totalitario, violento e repressivo. Una censura che non si esprime solo nell’insensata burocrazia gogoliana dell’onnipotente “partito”, ma è prima di ogni altra cosa dinamica sociale e soprattutto interiore dei personaggi: dagli invitati alla festa di pensionamento che parlano ognuno per conto proprio senza ascoltare nessun altro (neanche la festeggiata che annuncia di volersi suicidare il giorno dopo), fino al gruppo di colleghi d’ufficio che si odiano ferocemente ma nascondono i loro sentimenti sotto una patina di sorrisi velenosi e battute passivo-aggressive, passando per il direttore divorato dalla depressione e dall’insonnia, che passa le serate sfogandosi in lunghe chiamate con la vecchia zia, ma parlando in realtà con una segreteria telefonica che lui stesso ha impostato.
Le buone maniere è il racconto claustrofobico di un mondo in cui la comunicazione non passa, contratto nella dimensione allegorica dell’asfittico Ufficio Ottantaquattro, i cui impiegati hanno l’incarico di censurare ogni singola opera scritta (dai libri di poesia fino ai menù delle pizzerie) in base a un vademecum di regime che viene aggiornato costantemente affinché sia sempre impossibile adeguarvisi. È proprio questo blocco della comunicazione, che è umano prima di essere politico, a offrire la condizione di possibilità del regime stesso: sono le “buone maniere”, cioè la repressione di qualunque parola di protesta e di malessere, dapprima scelta come strategia per proteggere la propria vita e per provare a migliorarla facendosi benvolere dal sistema di potere, poi degenerata in gabbia dalla quale è impossibile uscire e di cui il potere si approfitta per estirpare il dissenso dall’interiorità stessa dei cittadini, dal loro spazio di pensiero. La storia di Cuello non parla di quanto la censura del potere sia crudele, ma di quanto l’autocensura fatta per opportunismo, paura o anche solo sopravvivenza, sia il terreno vitale su cui il potere edifica le proprie strutture repressive. Di quanto siamo noi, che silenziamo le nostre stesse parole di ribellione per cercare di mantenere una vita tranquilla, a rendere possibile l’avvento di un fascismo senza volto, che gradualmente ci toglie la libertà senza che ce ne accorgiamo: «Per quanti anni… si può vivere nel terrore? L’indifferente ti chiederà di quale terrore stai parlando. Il codardo non ascolterà la tua domanda, ti risponderà parlando delle previsioni meteo. Il padrone ti dirà che non hai niente da temere, fino a quando avrà lui, in un cassetto, le chiavi delle tue catene. Catene che usa per il tuo bene… per proteggerti, a suo dire. Per anni! Fino a quando, ormai logoro, ti sarai dimenticato sia delle catene sia della chiave» (pp. 168-169).
Con questo volume, che punta il dito senza compromessi sulle responsabilità sociali che abilitano i fascismi, Daniel Cuello si affianca ad autori come Gipi e Zerocalcare nel dimostrare che, nel continente della letteratura italiana contemporanea, il fumetto rappresenta una delle poche regioni in cui sopravvive ancora la figura dell’intellettuale, intesa nel senso novecentesco di autorialità che prende la parola sul mondo reale e offre un repertorio di valori, e persino un indirizzo di comportamento, netti e non ambigui, anche esponendosi personalmente al contraccolpo pubblico che ne deriva.
Lascia un commento