allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Alessandro Manzoni – I promessi sposi

[ a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Carocci, Roma 2021 ]

Il felice scrupolo di un’allieva di Ezio Raimondi, Silvia Contarini, ha procurato la ristampa di uno dei commenti irrinunciabili ai nostri classici, quello del maestro bolognese ai Promessi sposi: aiutò Raimondi nell’impresa un altro allievo, Luciano Bottoni. Uscito in tiratura limitata nel 1987 presso Principato, il volume fu riproposto l’anno seguente in collana scolastica, con tagli e adeguamenti didattici. Ma era, anche questa seconda versione, un commento “per chi sa”, incurante dell’umile explication de texte e pertanto poco allettante per il mercato della scuola: l’errore di collocazione, che lo fece uscir presto dal commercio, celò il commento originale al pubblico degli studiosi e degli studenti universitari, e lo rese tanto più oggetto di culto. È il più vasto e ponderato commento ai Promessi mai steso, insieme a quello di Luigi Russo: il più minuzioso e però più spazioso nelle prospettive. Sciogliendo nel close reading del gran testo manzoniano uno studio ventennale, sparso in un nugolo di saggi e culminante nel Romanzo senza idillio (1974), Raimondi e il suo valente collaboratore hanno rinnovato e inquietato l’immagine e la presenza di canone dei Promessi dentro la nostra storia letteraria. Il Manzoni raimondiano è liberato dalla maschera «esangue» (la definizione polemica è di Raimondi stesso in un saggio raccolto nel Senso della letteratura, 2008) che la tradizione gli aveva ingessato sul volto; gli psicologismi interpretativi e gli apprezzamenti tonali della prosa manzoniana, quali punteggiavano i commenti quietisti precedenti, non vengono nemmeno cimentati. Le fluviali chiose del commento raimondiano indagano le discontinuità, le mescidanze, i rinvii di senso: roba mai vista prima, intorno a Manzoni. A cercar formule illustrative dell’operazione le troveremmo nella densissima introduzione, dove si parla per i Promessi di «tremore del non essere», di «ironia relazionale della coscienza», di un «farsi negandosi e decentrandosi in un contesto sempre incompiuto ». La dialettica narrativa dell’incompiutezza e la dialogicità «insidiosamente interrogativa», coi suoi costanti spostamenti del punto di vista e coi suoi straniamenti, sono in effetti il metro di approccio di Raimondi-Bottoni al romanzo. La guida, potente ma affabile, a questa lettura rivoluzionaria del libro manzoniano è pertanto Bachtin. Dalla nozione di cronotopo infatti discende l’intuizione centrale che, come in una sinfonia critica, viene perseguita di chiosa in chiosa, quella di una «poetica dell’occhio esplorativo», di una scoperta/appropriazione/sentimento degli spazi da parte dei personaggi, di una forte presenza della dimensione corporea e delle sue protensioni, anche conflittuali, in uno spazio che è dunque «paesaggio vivente, non sfondo». La contestualizzazione spazio-temporale si attua nella voce dietro la voce del narratore implicito, a sua volta ventriloquo dell’anonimo secentesco del «graffiato autografo»: questa voce, che è voce del corpo per eccellenza, è quella della lingua materna, del dialetto milanese che Raimondi-Bottoni, sviluppando elementi di un saggio fondatore di Isella sul Porta in Manzoni, individuano come sostrato dissimulato, basso continuo sotto la lingua lavata in Arno. I riscontri testuali del “giacimento” milanese sono tanti, per lo più rivelatori, e sorreggono anche l’analisi retorica, di incomparabile sottigliezza, che Raimondi-Bottoni conducono sulla dialogicità quasi furace dei personaggi e che sembra declinare il polifonismo bachtiniano in una sorta di prossemica linguistica variabile. Ma la plurivocalità dei Promessi è anche di presenze intertestuali. Qui il lavoro di Raimondi- Bottoni è stato vertiginoso nei risultati: dallo Shakespeare nella traduzione di Le Tourneur ai romanzi di Scott, dal Manfred di Byron ai Masnadieri di Schiller, da Atala di Chateaubriand (fin dall’attacco lacustre del primo capitolo) agli articoli del «Conciliatore», una fantasmagoria di luoghi convince la lettura. Ogni nuovo rimando fa sistema e lo scompiglia al contempo: come faceva Ezio Raimondi a lezione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *