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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Riccardo Socci – Modi di deindividuazione. Il soggetto nella lirica italiana di fine Novecento

[ Mimesis, Milano-Udine 2022 ]

Il poeta e critico Riccardo Socci dedica un corposo saggio alla costruzione del soggetto nella poesia italiana contemporanea. L’autore prende le mosse da cinque raccolte, di cinque voci senz’altro destinate a durare nel nostro canone. Esercizi di tiptologia di Magrelli e Esempi di Fiori (uscite nel 1992) aprono il decennio conclusivo del XX secolo, così come Biografia sommaria di De Angelis e Notti di pace occidentale di Anedda (1999) simmetricamente lo chiudono. Eppure è il quinto libro, cronologicamente stratificato, Umana gloria di Benedetti (2004) a confermare che le riflessioni di Socci bucano il confine di «fine Novecento», a cui rimanda il titolo del saggio, e si spingono in avanti. Proprio il titolo del saggio lascia intuire la scommessa di Socci: provare a incrociare insieme, senza che scatti il cortocircuito, deindividuazione del soggetto e lirica, ovvero il genere letterario – secondo la nota formula adorniana – dell’«individuazione senza riserve». In un celebre testo deangelisiano, ad esempio, da Biografia sommaria (e già al centro delle attenzioni critiche di Andrea Afribo), l’io lirico cede il posto all’orizzonte «sovratemporale di un noi onnicomprensivo» (p. 61), ovvero a una prima persona plurale che non indica più l’uomo e la donna, i due personaggi del testo, quanto piuttosto un ciascuno: «ora lo vedi / e lo vedrò anch’io… lo vedremo tutti… ora… / … ora che stiamo per rinascere» (Cartina muta, vv. 38-41).
In direzione opposta, invece, nel capitolo su Magrelli, l’analisi ravvicinata di Parlano evidenzia la configurazione di «un io vuoto», un soggetto ridotto a strumento di amplificazione delle vite altrui («solo perché fossi cassa armonica / delle loro storie», vv. 20-21). In una prospettiva intratestuale, inoltre, la reificazione dell’io di Parlano richiama gli esiti a cui Magrelli giunge fin dalla rivoluzionaria raccolta d’esordio Ora serrata retinae (1980). Socci, infatti, costantemente abbina a un movimento sincronico (con una lettura a coppia dei testi provenienti dalla stessa raccolta) uno sguardo diacronico su tutta la produzione poetica degli autori prescelti.
La deindividuazione del titolo, pertanto, assume nel libro un significato esteso; categoria eterogenea, all’occorrenza si apre a ventaglio per tenere insieme fenomeni (e, direi, intensità) anche molto differenti tra loro. Si va così dall’estromissione di contenuti autobiografici alle scelte retoriche, dalla marginalizzazione dell’io e dei temi che gli sono tradizionalmente propri agli elementi testuali e alle scelte pronominali, secondo una gamma di tratti che serra insieme i cinque poeti presi in esame, ma che può facilmente calamitare altre voci note della scena italiana degli ultimi trent’anni (in alcune pagine, ad esempio Socci si sofferma, seppur velocemente, su Franco Buffoni o Fabio Pusterla). La deindividuazione (con le sue cause e le sue radici) diventa la chiave per reimpostare un discorso – critico e teorico – unitario; un discorso, cioè, capace di dare compattezza a un terreno, come quello della poesia secondonovecentesca, convenzionalmente ritenuto dalla critica come uno spazio atomizzato, un insieme di voci e individualità poetiche separate, non etichettabili in gruppi e linee organiche. Sul piano della periodizzazione, d’altra parte, Modi di deindividuazione rimodella la fisionomia della parabola novecentesca del genere lirico, fissando nella zona terminale del secolo una soglia storica netta. Si tratta di una soglia che, direi, agisce per contraccolpo sui momenti di rottura e i discrimini forti dei decenni precedenti, depotenziandoli e, inevitabilmente, alterando il peso specifico che d’abitudine attribuiamo ad alcune generazioni poetiche del Novecento.

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