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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Eugenio Montale, Moscerilla diletta, cara Gina. Lettere inedite

[ a cura di P. Italia e G. Pinotti, Adelphi, Milano 2017 ]

[ con uno scritto di B. Montale, a cura di M.A. Grignani e G.B. Boccardo, San Marco dei Giustiniani, Genova 2017 ]

La raffinatezza del libro è la veste giusta per l’affettuosa intimità di queste lettere. Perché la voce di Montale appena la tocchi fa scintille: anche nelle sue più ineffabili letterine c’è la zampata del leone, un lampo di sarcasmo, ironia e pena, paradossale intelligenza umana e umorismo. Ottimi i curatori: annotazione e prefazione impeccabili. Si deve alla fedeltà della Gina, che ha conservato schizzi e foglietti per lei e le lettere affidatele dalla Mosca, un rispettoso dono che abbiamo la fortuna di condividere.

Ma rileggiamo prima, dalle lettere a Contini, quella del 29 maggio ’45, con la Mosca e, in filigrana, la Ballata uscita sul «Ponte» nonché Gli ultimi spari: «Lunga emergenza, guai d’ogni genere, salto dei ponti, bombardamenti d’ogni calibro, fuga di Gadda, fame, inopia (direbbe Macrì) di H2O, freddo, la Mosca ammalata in ottobre e tuttora ingessata a letto; due mesi li abbiamo passati in una clinica dove lei era censée di esalar l’ultimo respiro; invece una notte (suppergiù quella del trapasso) s’è alzata, ha ridacchiato, ha mangiato fichi secchi, bevuto port wine e il giorno dopo la catastrofe era esclusa». Eccoci di colpo al lessico privato di Montale.

La firma «merlo MAGGOTTINO» appare qui nella lettera del 1 giugno 1948: «dal tuo / blackbird, maggottino», merlo che si ciba di larve, esche, vermi (maggot). A giustificazione dell’ansia della gelosissima hellish fly, la mosca infernale, leggiamo qui le tre poesie inglesi del ’48 e Trascolorando (1971), frutti poetici e tracce della breve passione del merlo maggottino per la misteriosa impiegata inglese. Maggot è poi il bruco il cui lucore chiude Il gallo cedrone (1949) per la rivista «Mandrake» di Boyars (Montale, mi disse Boyars a Londra, il 13 giugno aveva suggerito il titolo Valtellina Heath-Cock), tradotto ma non pubblicato da Elemire Zolla.

Montale e Drusilla dovevano avere riso moltissimo insieme, con la loro lingua privata. Un se stesso fragile, debole merlo vermifago che soffre per la lontananza di lei, per il freddo degli alberghi della Milano del dopoguerra, per il caldo della Siria: ma pronto a incoraggiarla, a dichiararle il suo affetto e la sua fedeltà, a farla ridere. Il 3 dicembre 1948 da Damasco: «Ti ho comprato un pezzo di broccato a Damasco, 2 metri per una giacchettina. / V(ittore) B(ranca) ha parlato in francese con una pronunzia tale che tutti si sono levati la cuffia con orrore e disgusto».

Intimità: infinita pena anche, per la malattia di lei e per il suo essere, oltre che una hellish fly, pur sempre una Mosquita, una moschetta, una Griguetta, una moschina, una moscoletta, una moscolina, una muscolina, una moscerilla, un musclin qui quin, un muskin kuin kuin: tenerezza e comprensione, e insieme richiesta di aiuto per sopravvivere. Si fa un gran parlare di treni e di appuntamenti al treno, di prossimi incontri all’arrivo del treno, al solito posto: «Scrutavo le carriole dei facchini se mai ci fosse dentro / il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo».

La seconda parte è un omaggio alla guardiana della serenità della coppia e poi del signor Montale: la Gina, che ha regalato tutto a Pavia in un quaderno rosso di computisteria. Disegni del merlo sul ramo, bigliettini con richieste di acquisto di Giubek, schizzi parlanti di luoghi e persone, la tazzina di caffè sul tavolo tondo con l’orologio e la poesiola: «Alla carissima / Gina Tiossi / il povero autore degli Ossi / che dipinse col caffè». Bianca Montale, che ben conosceva il ruolo della governante, ha scritto un bel ricordo di lei.

Ho un gran desiderio di rivederti, dichiara spesso Montale. Si veda il dattiloscritto dei Nascondigli: la conferma della propria esistenza, anni dopo, legata alle “carabattole” di lei: «Quando non sono certo di essere vivo / la certezza è a due passi ma costa pena / ritrovarli gli oggetti, una pipa, il cagnuccio / di legno di mia moglie […] / Complottando si sono organizzati / per sostenermi, sanno più di me / il filo che li lega a chi vorrebbe / e non osa disfarsene». Ed è forse questo il senso del libro.

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