[ a cura di F. Buffoni, Marcos y Marcos, Milano 2017]
Franco Buffoni, curatore di questo XlII Quaderno italiano di Poesia contemporanea, specifica che «questa non è una antologia di scuola o di tendenza» (p. 14): il volume raccoglie le sillogi di sette nuovi poeti tutti nati dopo il 1980 e tutti – specifica ancora Buffoni – meritevoli di uguale attenzione. A introdurli ci sono Antonella Anedda, Milo De Angelis, Umberto Fiori, Massimo Gezzi, Fabio Pusterla, Flavio Santi e Niccolò Scaffai: una rosa di nomi prestigiosi che fa anche sorgere il dubbio, o forse l’auspicio, che in questo libro una tendenza in realtà ci sia, seppure nel segno dell’eterogeneità. Scorrendo la raccolta con uno sguardo a volo d’uccello (come del resto sembra auspicare il curatore) ci si imbatte subito nella lirica: c’è l’idillio non idillico di Agostino Cornali, con quei paesaggi impastati di residui naturali e umani, leggende, etimologie e fiabe popolari che ricordano, tra gli altri, quelli di Pusterla e Zanzotto. Ci sono le città fitte di nebbia e gli inverni di Stefano Pini, poesie che si vestono di «brina e galaverna» (p. 241) e cercano di resistere ai terremoti, di scoprire uno spiraglio nelle crepe della quotidianità. C’è l’immaginario ermetico di Franca Mancinelli, che pur rifuggendo ogni decifrabilità penetra nella mente del lettore e lascia sempre la traccia di un’esperienza insieme surreale ed estremamente vera. C’è, infine, la lirica più “instabile” di Daniele Orso, tentata ora dal fascino delle cose e dell’aneddoto, ora dal bisogno di spiegare e spiegarsi entro le strutture portanti della forma. Meno prevedibile, invece, è la presenza, accanto alla lirica, del racconto in versi di Antonio Lanza, della poesia dialogica, narrativa e sintattica di Claudia Croceo, delle scarne prose poetiche di Jacopo Ramonda e di quelle della già citata Franca Mancinelli. Poesie, queste, che dissimulano l’io nell’invenzione di personaggi, trasformano il «tu» del soggetto lirico nel «tu» di qualcun altro e sperimentano un ritmo diluito, prosastico, mimetico. Tutta la miscellanea, va detto, è attraversata da temi ricorrenti, quelli ormai famigliari a una generazione che cerca l’eccezione nella prossimità: la casa, il paese, la città, il residuo, le crepe, il corpo, gli oggetti di tutti i giorni. Ma il pregio di questo libro sta piuttosto nella varietà dei toni e delle poetiche, nella presenza quasi paritaria di lirica e non lirica e nella complessiva chiarezza degli stili – il che non significa che tutto sia decifrabile, ma che le opere, in genere, si presentano al lettore sotto la veste della limpidezza sintattica ed espositiva. Naturalmente non tutti gli autori convincono allo stesso modo, e non sempre. L’eterogeneità, in questo senso, si percepisce sia nei mezzi che nei risultati: qualcuno è tecnicamente più attrezzato (mi sembra dominare, a questo proposito, la poesia di Franca Mancinelli, benché il suo stile sia forse anche quello più epigonico), qualcuno lo è forse troppo (penso alla forma a volte meccanica di Daniele Orso), nessuno, però, lo è troppo poco. Qua e là affiorano alcune pose un po’ eccessive – siano esse remissive, autolesioniste o paternalistiche – che rischiano di inficiare la felicità di alcuni testi, ma il libro merita di essere letto sia per il pregio delle singole raccolte sia per il suo esito complessivo. In quest’ottica, il desiderio di Frano Buffoni – che è quello di invitare il pubblico a porre l’attenzione su ben sette poeti contemporaneamente, e «non solo su uno o due di essi» (p. 14) – può dirsi pienamente realizzato.
Si può credere, forse a ragione, che la selezione proposta in questo volume alteri il quadro reale della poesia, dominato ancora dalla lirica. Va ricordato, però, che ogni scelta è avallata e introdotta da alcuni tra i poeti più influenti degli ultimi decenni, poeti che forse ci stanno anche indicando, se non il senso stesso della loro ricerca, almeno una speranza per il futuro: che la poesia italiana ritrovi i mezzi per espandere nuovamente i suoi confini anche oltre la lirica.
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