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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Federico Bellini, La saggezza dei pigri. Figure di rifiuto del lavoro in Melville, Conrad e Beckett

[ Mimesis, Milano-Udine 2017 ]

Confrontarsi con un personaggio che rifiuta il lavoro «ci costringe a considerarlo nella sua irriducibile e spoglia natura»: il non lavoratore svela l’umano nella sua «semplice-presenza», fa emergere «una dimensione primitiva dell’essere umano» (p. 167). Bellini descrive il personaggio che rifiuta di agire attraverso il lavoro nel modo in cui Heidegger, in Essere e Tempo, descrive gli oggetti inutilizzabili: come questi ultimi, anche Bartleby (Melville), James Wait (il “nigger” di Conrad) e Murphy (Beckett) – soggetti che non funzionano – provocano «un identico stupore, un’identica sensazione di avere a che fare con qualcosa di irriducibile a un ordine predeterminato» (p. 166). La prima convergenza fra i tre personaggi, ciò che li rende stupefacenti e irriducibili, è il loro estremismo: saldi, disarmanti e potenti a un estremo, come nella logica della non preferenza assoluta di Bartleby, nella forza seduttrice della simulazione di Wait, nel fluire di forme possibili nel mondo autistico e sigillato di Murphy, ma anche fragili e impotenti, all’estremo opposto, quando Bartleby si mineralizza, Wait cade vittima della propria simulazione, Murphy impazzisce e muore. Bellini ricava una seconda convergenza fra i tre personaggi riflettendo sul concetto di rifiuto. Bartleby, Wait e Murphy non solo si rifiutano di agire ma risultano a loro volta dei rifiuti (waste): sono soggetti antifunzionali, ingombranti, oggetti “desueti” (Bellini si rifà qui esplicitamente al celebre saggio di Orlando) che non possono essere metabolizzati da un sistema votato all’utile, allo scambio e all’efficienza. Bartleby diventa a lungo andare una lettera morta come quelle che scrive perché si rivela inassimilabile; Wait è fin dal principio un peso contagioso, una zolla di terra malata che si oppone alla purezza e alla positività del mare; le ceneri di Murphy, disperse per errore in un pub, vengono spazzate via con altri rifiuti. La terza somiglianza che Bellini rintraccia lo spinge ad avanzare un’ipotesi sensata e passibile di ulteriori approfondimenti: se è vero che tutti e tre i personaggi affascinano e ammaliano chi li circonda (Bartleby magnetizza il suo datore di lavoro, Wait l’equipaggio del “Narcissus”, Murphy ogni altro personaggio) questa loro misteriosa forza d’attrazione (che si esercita anzitutto sul lettore) evoca la figura dell’idiota, di un uomo, con l’efficace formula di Maria Zambrano, «che non si comporta umanamente» bensì come «un puro abitante del pianeta» (España, Sueño y Verdad, 2012, p. 222). Pur essendo emarginati e trattati come estranei, gli idioti testimoniano e incarnano «quella passività da cui tutti veniamo e verso la quale tutti siamo destinati a tornare» (p. 176). Ma ulteriori somiglianze emergono osservando il mondo in cui questi personaggi abitano. La rappresentazione di spazi chiusi, misurati e oppressivamente modulari, indice di «un certo pathos della superficie» (p. 177) testimonia metaforicamente l’incapacità di azione che segna il carattere e il destino dei tre personaggi. Il libro di Bellini riesce a coniugare una chiara e puntuale analisi testuale con il significato filosofico che il lavoro e il rifiuto del lavoro assumono nelle opere prese in esame e più in generale nell’opera di Melville, Conrad e Beckett. Ha il merito di indagare, storicizzandolo, il significato simbolico o allegorico del rifiuto di agire (esemplare la lettura del Nigger in rapporto alla crisi del mondo premoderno e dell’idea di comunità organica) e di dare un’interpretazione complessiva del significato che il non lavoro assume nell’opera dei tre autori considerati. Come scrive Giovanna Borradori nell’introduzione, la Saggezza dei pigri – degli eroi di Melville, Conrad e Beckett – ci interroga non solo sul legame moderno tra l’azione e l’identità sociale, siglato dall’annuncio del Faust di Goethe («im Anfang war die Tat!»), ma anche e soprattutto sul significato che assume oggi, di fronte alla riconfigurazione della vita messa in atto dal neoliberalismo, l’«incessante esortazione» a «investire su noi stessi» (p. 17). 

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