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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 90

luglio/dicembre 2024

Troncamacchioni, copertina

Alberto Prunetti, Troncamacchioni

[Feltrinelli, Milano 2024]

di Riccardo Castellana

Con il suo ultimo libro Prunetti prende congedo, almeno temporaneamente, dai temi della trilogia working class che in pochi anni lo ha reso uno degli scrittori più originali della nuova narrativa italiana. Troncamacchioni, infatti, non è un libro sul presente ma sul passato, e più esattamente sulle origini del fascismo in Toscana: non un libro di storia, anche se l’autore, per scriverlo, ha fatto ricerche d’archivio; né una fiction, nonostante la struttura teatrale in tre atti e alcuni episodi d’invenzione particolarmente riusciti (come l’epilogo eroicomico dell’oste di Prata); e nemmeno un romanzo, come del resto non lo erano stati neppure Amianto, 108 metri e Nel girone dei bestemmiatori. Non è il romanzo, infatti, il genere letterario più adatto a raccontare la realtà della condizione operaia, di oggi come di ieri: per mettersi dal punto di vista delle vittime della storia occorre invece sperimentare forme narrative diverse dal genere borghese per eccellenza, come ha sostenuto l’autore in un saggio molto lucido uscito per Minimum fax nel 2022 (Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class).


Gli eroi proletari del nuovo libro sembrano per lo più della gente poco raccomandabile. E lo sono: Chiaro Mori detto il Pretaccio, capo di una banda di grassatori; Domenico Marchettini, il Ricciolo, inafferrabile primula rossa che trascorse quasi tutta la sua vita in clandestinità e poi in esilio. Gente che non vorresti incontrare nei sentieri dell’alta maremma, oggi meta prediletta di escursionisti ma ieri battuti da figure di sovversivi e di anarchici, più o meno politicizzati, ben diverse dagli innocui eroi working class della trilogia. Questi brutti ceffi entrano in scena mentre infuria la Grande guerra: sono renitenti alla leva o disertori che per campare alla macchia taglieggiano i ricchi latifondisti e si conquistano le simpatie dei contadini. Dopo l’autunno del 1920, però, qualcosa cambia e questi eroi lumpen sono gli unici ad opporsi alle scorribande criminali degli squadristi in camicia nera, i cani da guardia dei proprietari terrieri. E il racconto entra nel vivo quando, durante il biennio rosso, a dominare il palco sono i socialisti (come Gualtiero Bucci, il calzolaio di Tatti, scampato per il rotto della cuffia a un linciaggio fascista) e i comunisti come Giuseppe Maggiori e lo stesso Marchettini; o come Robusto Biancani, la cui vicenda famigliare ha inizio con l’assedio squadrista dell’enclave rossa di Tatti nel maggio 1922 per concludersi tragicamente negli anni Trenta nell’Unione sovietica di Stalin, dove Robusto sperava di trovare il paradiso e invece conobbe l’inferno. Quando entrano in scena questi eroi sporchi e controversi, non siamo più in uno spaghetti western maremmano, con fughe rocambolesche, grandi bevute e bande di pistoleros che sparano all’impazzata, ma in un genere molto diverso: un’«epica stracciona dei diseredati», dove «novella criminale e romanzo storico» s’intrecciano per dare luogo a una forma peculiarissima di non-fiction.


Particolarmente notevole, infine, la lingua di Prunetti, ricca di vernacolarismi come crognolo, passionista, chiorba e nepitella: lo stesso titolo riprende la locuzione dialettale maremmana (ma pienamente comprensibile solo nel triangolo Piombino-Follonica-Massa Marittima) “anda’ a troncamacchioni”, cioè tirar dritto, andare caparbiamente per la propria strada, di prepotenza, infischiandosene del giudizio altrui e dei percorsi prestabiliti. Come si farebbe, appunto, se si decidesse di correre a testa bassa nella macchia, per aprirsi un sentiero improvvisato tra lecci e albatrelle, in direzione ostinata e contraria.

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