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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Sergio Zatti, Il narratore postumo. Confessione, conversione, vocazione nell’autobiografia occidentale

[Quodlibet, Macerata 2024]

di Irene Fantappiè

Il racconto in prima persona della propria vita ha nella nostra epoca una
presenza capillare. Eppure l’autobiografismo non coincide con l’autobiografia. Il
narratore postumo
va alle radici di quest’ultima – intesa come genere letterario
codificato – nella storia della letteratura occidentale. Zatti fa luce sulle
dinamiche che hanno permesso al soggetto (e quindi all’autore in quanto
soggetto) di superare l’interdetto autoreferenziale ed eleggere la propria
esistenza a oggetto di rappresentazione letteraria, sfruttando la tensione tra
esemplarità e eccezionalità. Les Confessions di Rousseau costituiscono in
questo senso un punto di svolta: battezzando l’ingresso dell’individuo borghese
sulla scena della Storia, operano la fondazione moderna del genere
autobiografico e ne stabilizzano le principali caratteristiche per i secoli a venire.
D’altra parte, anche Rousseau – con la sua idea di autobiografia quale
rivendicazione del giusto posto nel mondo, la sua concezione di lettore come
istanza giudicante, e la sua insistenza, sin dal titolo, sul concetto di confessione
– è legato a doppio filo alle radici (anche religiose e giuridiche) di pratiche
preesistenti di scrittura di sé. Da qui un viaggio che inizia con Agostino e che
passa per Dante, Tasso, Cellini, proseguendo con Alfieri, Proust, Joyce, Sartre,
Woolf e numerosi altri e altre, per rintracciare storia e forme del genere
autobiografico e le sue relazioni con la memoria e con la psicanalisi, per
evidenziarne i processi di progressiva secolarizzazione e democratizzazione,
nonché i legami con la fioritura del novel moderno e con la negoziazione di
identità etniche e di genere.

Tra i vari nodi che tornano in questo percorso c’è l’interconnessione tra
fictio autobiografica (riprendo proprio il termine fictio perché mai abbastanza
sarà ribadito il coefficiente di costruzione di sé presente in qualsiasi
autorappresentazione letteraria) e imitatio (letteraria e non). Il discorso
‘autentico’ dell’individuo su sé stesso – quella confessione da cui scaturiscono
tante narrazioni autobiografiche – è legato a pratiche imitative, spesso mediate
da un libro che diventa strumento di conversione (come in Agostino che legge
Cicerone o in Petrarca che legge Agostino) o di perversione (come nel V
dell’Inferno). Al contrario, questo discorso dell’Io su sé stesso diventa più
difficile se non c’è, o è breve, la genealogia da imitare: ad esempio quando si
tratta di “pensare il passato attraverso le nostre madri”, come scriveva Woolf.
Ma l’articolazione del ragionamento di Zatti è impossibile da restituire in
Tremila battute. Mi limito a notare che, parlando di autobiografia,
Il narratore postumo lancia/rilancia anche una determinata concezione di critica letteraria.
Una critica che si immerge nei testi, pur senza tralasciare le dinamiche trans-
storiche che li accomunano. Una critica che non usa il passato per scardinare
brutalmente le giunture del presente, eppure conferisce al presente la funzione
di “fuori campo attivo”. Una critica certo diversa dai fantomatici prodotti della
ricerca
, che si vorrebbero sempre esaustivi e centratissimi: questo libro è sì il
prodotto di una ricerca, ma anche della scelta (non idiosincratica: ragionata) di
non sacrificare alla completezza la complessità. Una critica, infine, consapevole
del fatto che una riflessione su un testo tira fuori innumerevoli risposte – e
domande – non direttamente legate alla ragion d’essere di quella riflessione:
ovvero, occupandosi di autobiografia Zatti ha scritto anche – tra le altre cose –
un libro sul lettore, sulla storia del lettore come figura concreta e come istanza
teorica che è precondizione dell’atto di scrivere. Il narratore postumo ci ricorda
la capacità della critica di produrre un’analisi che, paradossalmente, più è
centrata sul proprio tema e più diventa un discorso su altro: proprio perché il
testo letterario ci permette di arrivare a determinate conclusioni solo nella
misura in cui gli consentiamo di porci interrogativi diversi da quelli che gli
poniamo noi.

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