Terzo romanzo, dopo Scuola di nudo (1994) e Un dolore normale (1999), Troppi paradisi (2006) dichiara subito, nell’Avvertenza premessa al testo, il «quesito» che regge la «trilogia»: «se l’autobiografia sia ancora possibile, al tempo della fine dell’esperienza e dell’individualità come spot». Non ci voleva certo Walter Siti per nominare il fenomeno di progressiva confusione tra realtà e fiction già fissato da Debord e poi ridiscusso da Baudrillard; e tuttavia è un fatto che praticamente nessun romanzo italiano contemporaneo ancora aveva cercato di mettere al centro del racconto questa cultura del desiderio in cui la rappresentazione ha sostituito le cose, riducendo la vita a simulacro, precisamente come quel casolare di San Galgano usato per la pubblicità del Mulino Bianco e restaurato soltanto nel corpo di edificio inquadrato dalla telecamera.
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