In tempi recenti si è affermata la tendenza a dividere il sistema letteratura in due super-generi: fiction e non-fiction. Il fenomeno è talmente macroscopico che non credo ci sia bisogno di portarne delle prove. Se ne trovano dappertutto: nel linguaggio corrente della promozione libraria, nelle pagine culturali, nei saggi critici, persino nelle dichiarazioni di scrittori. Questa partizione in due super-generi, che non si dà da sempre, ed è stata chiaramente “prodotta”, è forse una delle semplificazioni più barbare che si siano fatte in questi anni nel campo del pensiero e dell’invenzione. Si tratta di una distinzione categoriale che non reggerebbe a una breve disamina filosofica, ma che tuttavia, pur traballante, agisce per penetrazione quantitativa e per formazione di luoghi comuni. L’industria internazionale del libro può trovare una facilitazione nello smistare i prodotti in questi due grandi scatoloni, ma per il pensiero che si esprime attraverso le molteplici forme della scrittura, può risultare una pratica assai repressiva: pretendere che i libri stiano pacificamente dentro a queste due gabbie adiacenti in effetti assomiglia molto a una misura di “polizia”.
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