Secondo un’interpretazione diffusa, il popolo italiano scopre nell’orrore della Grande Guerra il senso di patria, si sacrifica e viene riassorbito nel seno della nazione. La mia tesi è che questa idea derivi dall’immagine ottocentesca dell’esercito e della guerra come fucine della nazione. Il saggio ripercorre di conseguenza la rappresentazione del fante nella narrativa del secondo Ottocento, dalla Vita militare (1867) di De Amicis alla Partenza di un gruppo di soldati per la Libia (1912) di Renato Serra; rilegge quindi l’evoluzione della memorialistica e della narrativa della Grande Guerra tra il 1915 e il 1935 in rapporto all’eredità ottocentesca; rintraccia infine una diversa visione del conflitto negli antifascisti Gramsci e Lussu, secondo cui al fronte il popolo combattente non ha scoperto il senso di patria quanto piuttosto l’incidenza delle disparità sociali.
According to a widespread opinion, Italian soldiers discover the concept of the homeland in the tragedy of World War I. My thesis is that this idea comes from a nineteenth-century legacy: the army and the war as origins of the nation. In order to prove it, firstly the essay focuses on soldier’s literary representation in the second half of the Nineteenth Century, from La vita militare (1867) by De Amicis to Partenza di un gruppo di soldati per la Libia (1912) by Renato Serra. Secondly, it compares the WWI narrative (1915-1935) to the nineteenth-century tradition. Finally, it examines the different perspective of two antifascist writers, Antonio Gramsci and Emilio Lussu. According to them, on World War I front, Italian soldiers do not discover homeland but rather social inequality.
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