Da qualche tempo un contagioso morbo si è diffuso nell’italianistica e nel mondo: la ferrantite. Si riconosce dalla pervicace coazione a discutere, a volte anche ad azzuffarsi, sul valore o meno dell’opera di Elena Ferrante, in particolare della tetralogia napoletana dell’Amica geniale (2011-2014), un best seller non solo in Italia, ma ormai anche a livello internazionale. Coinvolta in questa occasione di dibattito, per prima cosa non posso che confessare il mio stupore di fronte non tanto al successo dei quattro romanzi quanto all’ingente riflessione critica che si sta sviluppando intorno a questo ciclo narrativo. Voglio dire, riguardo al successo non c’è ragione di stupirsi perché, al di là delle operazioni di marketing e promozione che si potranno indagare, la calibrata scansione in quattro tappe delle vicende di Elena e Lila riesce a…
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