L’articolo presenta alcune riflessioni sul saggio di Susan Sontag intitolato L’America vista nello specchio scuro della fotografia e dedicato all’estetica fotografica di Diane Arbus, che la scrittrice newyorkese sottopone a un giudizio non sempre positivo a causa di uno sguardo poco empatico sul mondo degli “anormali”. Ho cercato di contestualizzare le affermazioni della Sontag leggendo il suo testo come un tipico esempio di saggio critico in cui il bersaglio polemico è la cultura americana degli anni Sessanta del XX secolo. Inoltre viene individuato nelle pagine della scrittrice un autoritratto paradossale dove emergono le sue tipiche interpretazioni “tendenziose” intorno alla potenza perturbante della fotografia nel suo incontro con il dolore e la negatività.
The article presents reflections on Susan Sontag’s essay America Seen Through Photographs, Darkly, dedicated to Diane Arbus’s photographic aesthetics. The New York writer offers a critique that is not always favorable, due to what she perceives as a lack of empathy in Arbus’s portrayal of the world of “the abnormal.” I have sought to contextualize Sontag’s assertions, reading her essay as a typical example of critical writing in which the polemical target is the American culture of the 1960s. Furthermore, the article identifies a paradoxical selfportrait within Sontag’s pages, revealing her characteristic “biased” interpretations of the disturbing power of photography in its engagement with pain and negativity.
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