[ Franco Cesati Editore, Firenze 2023 ]
Il saggio di Zonch sviluppa un’ipotesi originale: che le verità espresse da alcuni dei principali autori italiani contemporanei non appartengano «all’ordine dei fatti, della conoscenza, ma a quello dello spirito» (p. 16). Al centro della sua indagine c’è la motivata attenzione verso la spiritualità postsecolare, caratterizzata dal rifiuto del materialismo e dal proliferare di credenze individuali e sincretistiche. Le implicazioni letterarie di questo fenomeno sociologico e politico vengono esaminate partendo ora dalla sociologia delle religioni (con riferimento privilegiato ai saggi di Ulrich Beck), ora dagli studi di Michel Foucault sui concetti di soggetto e di verità. L’opera di autori già molto studiati, in questo modo, viene analizzata da un punto di vista inedito e senz’altro utile per la ricerca futura.
Zonch colloca le opere di Saviano e Moresco (ma anche di De Luca, Nove, Scarpa, Trevi, fino alle scritture di genere di Evangelisti e Santoni) in un contesto postsecolare, nel quale le più diverse spiritualità operano una analoga «stabilizzazione ontologica» (p. 190) che consente a ciascuno di parlare seriamente del mondo empirico, a prezzo però di identificare la realtà con i propri convincimenti personali: il testo artistico viene così a esprimere «ontologie spirituali» (p. 131) che, a dispetto delle loro radici soggettive e idiosincratiche, si pretendono vere anche all’esterno dell’universo narrativo. L’increato di Moresco è un caso-limite, ma si pensi anche al neoplatonismo di Evangelisti o alle pagine in cui Trevi assegna alla letteratura un ruolo di elevazione spirituale: in tutti questi casi, pur così diversi, alla verità post-cartesiana – falsificabile e indipendente dal soggetto – viene preferito un tipo di verità storicamente antecedente, iniziatico più che logico e razionale.
Un merito di questa ricostruzione sta nell’individuare una sorprendente aria di famiglia in opere per il resto molto diverse, in cui un certo reincanto del mondo non conduce alla pretesa di averne esaurito la complessità. Dal sincretismo individuale, tuttavia, si giunge talvolta a un intento parenetico o catechizzante verso il lettore: in questi casi, sostiene Zonch, il campo d’azione dell’intellettuale tende a spostarsi verso la foucaultiana direzione delle coscienze. Si tratta di un’osservazione notevole, perché consente di leggere la contemporanea ansia di intervento etico senza ricorrere più o meno forzosamente alla categoria novecentesca di impegno civile: quando Saviano sostiene che la lettura possa migliorare il mondo, quando Moresco invita all’insubordinazione spirituale in vista di un imprecisato «salto di specie», in gioco non c’è un qualche concreto fine politico, bensì una sorta di «salvezza secolarizzata» (p. 206) che lo scrittore indica al lettore facendo leva più sulla propria abilità retorica che sulla diagnosi circostanziata di comuni necessità. Lo scrittore postsecolare, insomma, cerca di offrire alla società una nuova narrazione condivisa, ma nel farlo rischia di restaurare in modo regressivo la figura dell’intellettuale-guida.
Zonch si ferma sulla soglia di queste considerazioni: se le scritture postsecolari siano intrinsecamente limitate dal punto di vista politico, o se al contrario possano svolgere un qualche ruolo positivo nella vita etica individuale e sociale, è un problema affrontato solo marginalmente. Alcune analisi del testo, inoltre, appaiono perfettibili: si veda su tutte l’interpretazione frettolosa delle opere di Tiziano Scarpa. Ma la qualità del quadro teorico resta intatta. Zonch, nel complesso, pone nuovi e ben calibrati interrogativi su un oggetto di studio troppo spesso affrontato con categorie che tendono all’anacronismo (tra cui, si diceva, l’impegno civile in senso novecentesco), e Scritture postsecolari ha perciò il merito di mostrare come solo a prezzo di ingenti semplificazioni la narrativa italiana contemporanea possa essere ridotta a mera propaggine, magari minore, di un passato ormai trascorso.
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