Con Le Benevole Jonathan Littell, che come la maggior parte di noi allora non c’era, entra nel “buco nero” del nazismo assumendo la sfida di calarsi nell’umanità dei carnefici, non delle vittime. Nei panni del protagonistanarratore Maximilien Aue, divenuto ufficiale delle SS per caso, sterminatore di ebrei, matricida e pluriomicida, si rivolge ai lettori, accomodati in una rassicurante ipocrisia, per scuoterli dal torpore e indurli a interrogarsi alla luce della coscienza inquieta di chi è stato un «volontario carnefice di Hitler». Attraverso la sapienza di sé e della storia, il personaggio inventato da Littell promette una parola nuova per comprendere l’insolubile dilemma etico dell’adesione da parte di tanti tedeschi ed europei al programma nazista. Ma la verità storica è forzata artisticamente, al fine di indagare in senso assoluto, direi filosofico e metastorico, il “Male” incarnato dal nazismo. Allora è necessario non lasciarsi sedurre da una scrittura potente e persino scaltra per verificare se, alla resa dei conti, queste due prospettive riescano davvero a coesistere, producendo un esito convincente.
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