Il potere ha sempre avuto bisogno del sapere. E viceversa il possesso del sapere ha costituito sempre una forma di potere. Oggi potere e sapere tendono a incorporarsi nel sistema delle comunicazioni. Il potere del linguaggio e il linguaggio del potere s’incontrano e sempre più si unificano tanto nel sistema economico produttivo (dove il settore guida è quello delle merci immateriali e della produzione delle informazioni e del linguaggio) quanto nel sistema politico.
Il sapere-potere dei singoli intellettuali e anche degli intellettuali come ceto è selezionato e filtrato da apparati tecnologici, da enormi complessi produttivi o anche dalle istituzioni pubbliche (quella educativa, per esempio). Queste ultime peraltro risultano sempre più deboli e dipendenti, giacché quei complessi produttivi si erigono davanti a loro come modelli da imitare e a cui uniformarsi. Potremmo dire che il sapere-potere degli intellettuali si liquefà all’interno di questi apparati, si frantuma in essi che ne decidono o largamente ne condizionano le scelte fondamentali.
Inseriti in questi grandi apparati di sapere-potere, che rispondono a pochi centri di comando integrati, nazionali e multinazionali insieme, gli intellettuali non hanno alcuna possibilità di controllo su di essi. Si riducono a semplici lavoratori della conoscenza, costretti a fare i conti con una perenne instabilità, mobilità, flessibilità e dunque a sviluppare una elevata capacità di conversione.
Fai sul pulsante in basso per scaricare l'articolo completo in formato Acrobat PDF.
Se vuoi abbonarti alla rivista o acquistare la versione cartacea fai clic sul pulsante per accedere alla pagina acquisti e abbonamenti.
Lascia un commento