L’ultimo capitolo di Mimesis arriva ad abbracciare alcuni aspetti della narrativa contemporanea, muovendo come di consueto dall’analisi dettagliata di un brano (tratto, in questo caso, dalla prima parte di To the Lighthouse di Virginia Woolf), per poi estendere progressivamente la visione a tematiche più ampie.
Prima delle conclusioni, tuttavia, un breve excursus sposta il fuoco dell’osservazione sul metodo, come già era accaduto nei capitoli su Montaigne e Stendhal (Mimesis, II, 35-36 e II, 230- 231), ma con una differenza sostanziale: mentre il procedere saggistico di Montaigne, «apparentemente capriccioso e non guidato da un piano », oppure il proposito stendhaliano di «prendre au hasard tout ce qui se trouve sur ma route» offrivano solo spunti isolati e si presentavano come anticipazioni di uno spirito critico ancora lontano dall’affermarsi pienamente, nelle tecniche dei romanzieri degli anni Venti e Trenta Auerbach rileva invece una vera e propria omologia con i metodi di alcuni critici e filologi moderni, e nella «solidarietà “stilistica” fra tutte le manifestazioni spirituali di un’epoca» individua uno dei fondamenti della propria ricerca.
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