Quando Mimesis apparve in prima edizione, nel 1946, uno dei primi recensori vi riconobbe «il suggello al lavoro di un’intera generazione di filosofi», scorgendovi ad un tempo il risultato più maturo del metodo stilistico e filologico ed il valore di precisa testimonianza storica, quasi che le sue pagine non fossero solo di Erich Auerbach, ma esprimessero inquietudini, speranze e valori della diaspora intellettuale tedesca negli anni tragici del nazismo.
Solo circa un decennio dopo, in seguito alla traduzione inglese del 1953, Mimesis iniziò ad ampliare il suo pubblico originario e le sue tesi cominciarono a circolare nel più ampio dibattito internazionale intorno agli scopi e ai metodi della critica e della storiografia letteraria: non più solo filologi romanzi e seguaci della Stilkritik vi guardarono come ad un (inarrivabile) modello, ma anche sociologi della letteratura e fautori dello storicismo marxista non poterono fare ameno di confrontarsi con le istanze poste così persuasivamente in campo da Auerbach.
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