Da qualche tempo sembra che il cinema italiano stia attraversando una fase nuova, ormai fuori da quel clima di disincanto critico e di scollamento dalla realtà che ha caratterizzato i nostri ultimi decenni. La presente inchiesta nasce dal desiderio di verificare questa sensazione; in primo luogo l’idea di un ritorno alla realtà – che il postmoderno dava per estinta – e ad uno sguardo nuovo, volto a raccontare la storia del nostro paese.
Con una premessa: nel cinema, a differenza che nella letteratura, non vi è stato un dibattito teorico sul postmoderno; o, meglio, il postmoderno, come ideologia e come dominante culturale, non è mai esistito. Parlare di ritorno alla realtà significa solo tentare di registrare un cambiamento di clima culturale; prendere atto di una nuova istanza realistica, nella scelta dei soggetti, nel linguaggio, nel modo di concepire il cinema, dopo anni di autoreferenzialità e di evasione dal mondo.
Una nuova istanza realistica che non ha niente a che vedere con il ritorno ad un approccio mimetico e naturalistico nei confronti del reale. Il realismo è la forma artistica della verità, dichiarava già Rossellini; e quando anni più tardi Pasolini affermava di amare più la realtà che la verità, Fortini gli ricordava che l’interpretazione è già nella rappresentazione e che il dovere di chi riceve la realtà è, appunto, interpretarla, mutarla in verità.
Come a dire che la verità non è mai verosimile e che la scelta di come inquadrare un ritaglio di realtà implica già in sé un lavoro di interpretazione, che non può che trasformarla e, in ultimo, reinventarla.
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