Anche circoscrivendo il tema a un superamento dell’età postmoderna, il confronto tra letteratura e cinema è, su una rivista letteraria, molto difficile. Il cinema ha uno statuto incerto e ancora più incerto è lo statuto degli studi cinematografici. Soprattutto, toccherebbe agli studiosi fare certe analisi e temo che anche su questo il nostro cinema sia in gravissimo ritardo.
Non mi sembra che gli studi di settore propongano grandi analisi d’approfondimento né che diano una qualche chiarificazione di metodo e di merito. Ecco allora che un regista come me si ritrova immediatamente nei guai, perché non ha la strumentazione critica necessaria per affrontare un compito così delicato. Per questo, preferisco mettere le mani avanti e dichiarare immediatamente che quella che segue è una riflessione molto personale, senza alcuna pretesa di scientificità; quasi uno sfogo o un appello.
Non è inutile ricordare che la mediazione tra uno scrittore e un editore si dispiega e si esaurisce sulla pagina scritta; mentre il cineasta prima di arrivare in sala di montaggio deve fare i conti con una serie infinita di passaggi che Fellini descriveva più o meno così: «un film non è altro che la degenerazione continua ed inesorabile dell’idea originaria». La descrizione non si discosta molto dalla verità. Il regista diventa allora un folle che cerca di dare un senso a questa degenerazione.
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