Gomorra di Roberto Saviano è in realtà due libri. Innanzitutto l’inchiesta, il reportage, la ricostruzione per successive tappe e nei diversi ambiti (il contrabbando, il traffico di droga, la contraffazione dei manufatti, le imprese del cemento, lo smaltimento dei rifiuti) dell’ascesa e del dominio pressoché incontrastato del cosiddetto Sistema: l’impero economico della camorra che da Napoli e dintorni è arrivato a toccare gli anfratti più impensati dei continenti, in un’agghiacciante versione criminosa del “villaggio globale”. Malgrado l’attenzione documentaria venga, infatti, primariamente rivolta al resoconto delle dinamiche complessive e dei singoli episodi della eterna faida tra i clan locali (col dettaglio di quella, a dir poco efferata, tra le cosche secondiglianesi, che occupa un intero capitolo, il quarto, oltre ai frequenti richiami nei successivi), a emergere con chiarezza da questo primo libro è che il suo autore legge il mondo, per dirla così, sub specie camorrae. Tutto è male, perché tutto è camorra: questa la testimonianza, cui conseguono i tanti dati documentari, sparsi nella vera e propria cronaca di una guerra. Quindi soprattutto il computo dei «morti ammazzati», a partire dall’anno di nascita dell’autore: «Inizio la conta: nel 1979 cento morti, nel 1980 centoquaranta, nel 1981 centodieci […] nel 2004 centoquarantadue, nel 2005 novanta».
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