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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Stefano Brugnolo, La tentazione dell’altro. Avventure dell’identità occidentale da Conrad a Coetzee

[ Carocci, Roma 2017 ]

Con il saggio La tentazione dell’altro Stefano Brugnolo fa il punto su un tema trasversale alla grande letteratura degli ultimi due secoli: quello del gone native, cioè dell’uomo occidentale che si è avventurato in una realtà geo-antropologica totalmente “altra” (l’Africa, l’estremo oriente) e ne è uscito sconvolto, si è perso, ha abbandonato il suo modo di vita civilizzato e moderno per assimilare i costumi “arretrati” della nuova comunità elettiva.

Di questo personaggio Brugnolo trova esempi non solo, com’è facile immaginare, in Melville, Stevenson, Kipling, Conrad e nella letteratura coloniale anglofona, ma anche in autori meno studiati da questo punto di vista, come Thomas Mann, Malraux, Flaiano e Borges, e in nostri contemporanei come Coetzee, Vargas Llosa, Houellebecq. Una lettura ingenua dei loro testi potrebbe indurre un fautore acritico dei colonial studies alla falsa conclusione di una realtà endemica e comune, fatta di torme di coloni e avventurieri pentiti, stanchi dell’Occidente, quasi come se la loro insofferenza fosse il presagio (già a fine Ottocento) della futura crisi del colonialismo. E invece no. Quegli scrittori, argomenta persuasivamente Brugnolo, reagiscono alla tendenza tutta occidentale a razionalizzare il mondo e a uniformarne costumi e stili di vita; e nella figura del gone native vedono, più che un “tipo” socialmente diffuso, un simbolo di resistenza al processo di modernizzazione, al pari del soprannaturale, della follia, della sessualità sfrenata, dell’oggetto desueto: «Rappresentando quanto la ratio funzionale del progresso tendeva a eliminare o a regolamentare, la letteratura ha cercato di suggerirci alcune verità nascoste sul nostro mondo. È nell’anomalo, nel rifiutato, nell’escluso, nel dimenticato, nel rimorso che gli scrittori hanno cercato queste verità» (pp. 17-18).

Le categorie interpretative cui Brugnolo ricorre e che, in larga misura, contribuisce a definire in modo originale benché in sostanziale continuità con i suoi modelli (Francesco Orlando in primis), sono categorie forti. E sono talmente persuasive da indurlo, in più di un’occasione, a includere rischiosamente nell’analisi anche testi che, a rigore, non sarebbero riconducibili né al tema del gone native (Lo strano caso del dottor Jakyll e Mr Hyde di Stevenson, ad esempio, o il Viaggio al fondo della notte di Céline) né a quello, simmetrico ma altrettanto interessante, del gone civilized (Una relazione per un’accademia di Kafka, dove il selvaggio non è un essere umano ma una scimmia). Forse perché, conclude l’autore, «l’Altro è dappertutto e non è da nessuna parte» (p. 285). Ma nonostante il suo carattere in qualche caso forse troppo generosamente inclusivo, nell’insieme il discorso di Brugnolo tiene perfettamente. E convince. Non solo perché evita la dispersione (rischio assai frequente della critica tematica), ma perché costituisce un oggettivo passo avanti nel campo degli studi culturali, troppo spesso soffocati tra il piatto documentarismo e l’ingenua rivendicazione politica. Intendiamoci, in questo libro una prospettiva politica c’è, ed è chiarissima, ma è sempre mediata da un’analisi tematica finissima, che rifiuta il catalogo inerte per costruire paradigmi testuali intelligenti, per tracciare, nella folta serie di esempi testuali, analogie e opposizioni utili a comprendere meglio i procedimenti di cui l’immaginazione letteraria si serve per confrontarsi con la realtà. 

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