L’articolo propone una lettura critica di La figlia prodiga di Alice Ceresa e Lettera aperta di Goliarda Sapienza, entrambi pubblicati nel 1967, attraverso la lente dell’indicibilità del lesbismo e del sovvertimento del copione eteropatriarcale. L’analisi si sofferma in particolare su tre elementi che delineano la poetica originale di entrambe le opere: la riflessione metaletteraria, originata dalla domanda sul “come dire” qualcosa che non si può dire, o per cui non esistono le parole, o che sfugge alla rappresentazione; il tema esistenziale, politico e simbolico dell’eversione dall’eteropatriarcato, in cui si inscrive il lesbismo; e infine la sperimentazione formale in risposta all’impossibilità rappresentativa. Lettera aperta e La figlia prodiga costituiscono infatti opere fortemente sperimentali che decostruiscono modelli narrativi consolidati per avventurarsi nell’esplorazione di nuove possibilità espressive, con approdi assai diversi ma accomunati da una spinta di ricerca radicale.

The article offers a joint reading of Alice Ceresa’s La figlia prodiga and Goliarda Sapienza’s Lettera aperta, both published in 1967, through the lens of the impossibility of naming the lesbian subject and the subversion of heteropatriarchy. The analysis is articulated around three main elements that delineate the original poetics of both works: metaliterary reflection, originating from the question of “how to say” that which cannot be said, or for which no words are available, or which escapes representation; second, the existential, political and symbolic theme of the subversion of heteropatriarchy, in which lesbianism is inscribed; finally, formal experimentation as a response to a representational limit. Lettera aperta and La figlia prodiga are both highly experimental works that deconstruct established narrative models and explore new expressive possibilities, with different outcomes but equally driven by a radical research.