[ Olschki, Firenze 2019 ]
Lo studio di Sara Sermini sin dal titolo mette al proprio centro un argomento determinante per comprendere la poesia rosselliana, che tuttavia non aveva ancora ottenuto sufficiente attenzione da parte della critica. Infatti, la questione che Sermini condensa nel binomio «povertà e follia» costituisce non soltanto uno dei temi affrontati da Rosselli in poesia, ma il movente stesso della sua scrittura: nel riconoscimento dello stato di “miseria” stanno la causa prima e la finalità della sua opera.
Nel trattare tale oggetto di studio, il libro non offre un immediato confronto con i testi poetici, come il lettore potrebbe aspettarsi dal titolo, ma conduce anzitutto nei retroscena della scrittura, esplorando quegli anni Cinquanta che hanno costituito, a tutti gli effetti, per la giovanissima Amelia Rosselli, un “apprendistato”, umano oltre che letterario.
Il percorso tracciato dalla ricerca di Sermini segue due direzioni, cui sono dedicati due dei tre capitoli del libro. La prima riguarda i rapporti intrattenuti dalla futura poetessa con la sinistra italiana del secondo dopoguerra: grazie a un’approfondita ricognizione di epistolari e testi, l’indagine di Sermini ha il pregio di trascinare il lettore nella ricerca che Rosselli stessa deve aver svolto al fine di costruire il proprio «umanesimo rivoluzionario». Sermini riflette anzitutto sul dialogo con l’opera paterna: attraverso quest’ultima, Amelia deve aver scoperto quell’attenzione alla «libertà individuale senza sacrificare gli obiettivi collettivi» che ha poi tentato di riversare in poesia, pur riconoscendo sin da subito l’ambiguità intrinseca allo spazio borghese. Ancora, Sermini dedica pagine attente e doverose a Rocco Scotellaro, con cui Rosselli ha condiviso ideali di fratellanza e carità. Questi, già conosciuti grazie al lavoro di traduttrice per le olivettiane Edizioni di Comunità, conducono all’immagine cristica tanto diffusa nella sua opera poetica. Tra le fonti letterarie che Sermini indaga in tal senso, particolarmente significativo è The Cocktail Party di
T.S. Eliot, perché la sua ripresa ci fa intuire come nella poesia rosselliana non soltanto Scotellaro sia figura Christi: tale sembra essere lo stesso io poetico.
Il secondo capitolo rivolge invece la propria attenzione al rapporto con la psicologia junghiana e con Bernhardt, di cui, com’è noto, Rosselli è paziente tra 1953 e 1954. Ripercorrendo la storia della diffusione della filosofia junghiana in Italia, Sermini tenta di dimostrare l’influenza sulla poesia rosselliana del concetto di individuazione, inteso come processo che connette singolare e collettivo, nonché del misticismo religioso, sotteso dalla stessa psicologia junghiana. L’indagine, svolta con serietà filologica, non sembra però aggiungere novità significative al quadro complessivo degli studi, già ampi, sul rapporto con Jung e con la filosofia orientale.
Infine, l’ultimo capitolo illustra come l’umanesimo rivoluzionario, l’ideale di fratellanza, la ricerca di comunicazione tra individuale e collettivo si rispecchino nella poesia. La scelta testuale si avvale di una vasta conoscenza dell’opera rosselliana, che spazia dalla poesia in italiano a quella in inglese fino alla prosa, dalla quale Sermini sapientemente trae i motivi della povertà e della follia. Si può, tuttavia, segnalare una scarsa attenzione alle datazioni interne al corpus poetico e, quindi, all’evoluzione nel tempo dei temi trattati, come anche all’aspetto formale, pure fondamentale per Rosselli, sì che la lettura della poesia risulta schiacciata dalla ricognizione storica precedente.
Nonostante tali debolezze, si può affermare che le acquisizioni di Sara Sermini, che trovano espressione soprattutto nel primo capitolo della monografia, rendono il suo lavoro un passaggio necessario per il futuro degli studi sulla poesia di Amelia Rosselli: portandone in superficie tanto la vocazione etica quanto il dissidio tra spirituale e materiale, il libro contribuisce notevolmente alla comprensione della sua opera.
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