[ Palgrave Macmillan, Cham 2017 ]
Nel suo ultimo libro, dopo aver riflettuto sull’utopia in quanto genere letterario – il secondo capitolo traccia un prezioso panorama critico sulla storia di questo concetto in rapporto all’ideologia, al potere, all’industria e alla crisi epistemologica di fine XIX secolo – Daniele Fioretti mostra in modo convincente l’importanza che essa riveste nelle opere di Pasolini, Calvino, Sanguineti e Volponi, Il presupposto della ricognizione è l’aria di famiglia che questi intellettuali-scrittori condividono: tutti quanti hanno infatti collaborato o pubblicato in importanti riviste letterarie dell’epoca («Officina», «il verri», «il menabò», «Nuovi Argomenti») e tutti quanti hanno creduto, influenzati dal marxismo, che le loro opere dovessero e potessero contribuire a edificare una società migliore. Per Pasolini, Calvino, Sanguineti e Volponi l’utopia ha significato anzitutto impegno, progetto di una trasformazione sociale, ciò che nel capitolo conclusivo Fioretti definisce «the precondition of utopian literature, always aimed at building a better society» (p. 195). Uno dei meriti maggiori del volume è chiarire la diversa concezione che i quattro autori hanno dell’utopia e di ricostruire sinteticamente la traiettoria che essa subisce nelle rispettive opere in relazione ad alcuni cambiamenti sociali e culturali. La doppia utopia di Pasolini – «a mythical utopia of the “origin”, and a utopia of history, strongly connected with society and political commitment» (p. 45) – instaura una contraddizione lacerante fino a rovesciarsi, dopo l’abiura e con Salò, in una distopia apocalittica. In Calvino, a una tensione utopica di tipo razionale e ideologico fondata sui valori della resistenza, segue un’utopia di natura epistemologica – la sfida al labirinto – caratterizzata dalla straordinaria rilevanza metaforica assunta dalla città (a partire dalla Giornata di uno scrutatore e La nuvola di smog) e da un’irrisolta tensione a comprendere la realtà senza arrendersi al caos (l’idea di letteratura come gioco combinatorio del Castello e di Se una notte d’inverno un viaggiatore, da una parte, e la ricerca di senso e lo sforzo di conoscenza delle Città invisibili e Palomar, dall’altra parte). Attraverso una disarticolazione strategica del linguaggio (mediata dal surrealismo e dalla psicoanalisi), l’opera di Sanguineti è fin dal principio «centered on dystopia» (p. 133), sull’idea che il mondo contemporaneo, neocapitalista e consumista, sia una palus putredinis (Laborintus). Se il bisogno di attraversare questa palude rigettando la sua logica, in particolare il principio di identità e di non contraddizione, ha un carattere conflittuale e politico e lascia presagire un varco (ben visibile in Purgatorio de l’Inferno), «a progression from a nuclear dystopia to the utopia of a new society» (p. 144), le opere successive (in modo esemplare Postkarten e Stracciafoglio) tendono alla disillusione e alla resa. Dell’utopia di Volponi, Fioretti evidenzia più «the bodily aspect» (p. 155) che non l’ispirazione industriale (Olivetti) e rinascimentale (Urbino): è nel compromesso tra corporalità e razionalità che il tema dell’utopia raggiunge in Volponi i risultati migliori, quando si presenta «chaotic, multifaced, even umpleasant and uncanny in its mostruosity» (p. 173) come avviene ad esempio in Corporale. È per questo motivo che l’ibridazione uomo-animale tematizzata nel Pianeta può essere interpretata dall’autore, anche alla luce della post-human theory, come la realizzazione di un’utopia che in Corporale era soltanto potenziale; ed è grazie a questa lettura “positiva” del Pianeta che persino nelle Mosche, dove compare un riferimento al futuro post-apocalittico del Pianeta, l’utopia sembra opporsi e resistere al dominio assoluto dell’artificiale. La macrodistinzione tra l’utopia “geometrica” di Calvino e Sanguineti e l’utopia “poetica” di Pasolini e Volponi proposta da Fioretti nel capitolo finale è solo uno schema: il suo libro è molto più ricco.
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