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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Iacopo Leoni – Francesco Orlando, In principio Marcel Proust

[ Nottetempo, Roma 2022 ]

Pubblicato nel novembre del 2022 – a cento anni dalla morte di Marcel Proust –, il volume raccoglie tutti gli interventi che Francesco Orlando ha consacrato all’autore della Recherche tra il 1973 e il 2010. A questi, si aggiunge la trascrizione di una conferenza tenuta nel 1987 per una classe liceale e preziosa testimonianza di un modo espositivo in cui la qualità dei contenuti niente toglie alla limpidezza della divulgazione. Quasi a mimare quel principio della scomposizione paradigmatica di cui Orlando è stato maestro, Luciano Pellegrini, curatore della raccolta, ha distribuito il materiale non attraverso una più scontata progressione cronologica ma secondo un’organizzazione tematica volta a valorizzarne i rapporti di coerenza e continuità interni.

A Proust e la madre, le lettere (2010), non solo l’ultimo lavoro proustiano di Orlando ma anche l’unico in cui l’interesse per la componente biografica ha la meglio sull’analisi testuale, segue Proust dilettante mondano e la sua opera, pubblicato nel 1970 ma debitore di un corso tenuto alla Scuola Normale di Pisa nel 1968. Non per caso, è attraverso un taglio storico-sociologico che la questione della mondanità proustiana viene qui riletta: proprio perché libero dal fardello di dettami estetici istituzionalizzati, solo un «non professionista della letteratura» quale era Proust poteva infatti ripensare su basi profondamente originali il paradigma romanzesco ereditato dal secolo precedente. Determinante nel definire l’essenza di una visione del mondo radicalmente innovativa rispetto al modello ottocentesco è però lo studio “Sapere” contro “vedere”. Metamorfosi e metafora, aggiornato nel 2009 rispetto alla prima pubblicazione del 1985, e nucleo fondante della riflessione orlandiana su Proust. Riscontrabile in numerosi passaggi della Recherche, la dissociazione tra momento percettivo e acquisizione conoscitiva viene interpretata in base allo schema freudiano della scena primaria, svuotato tuttavia della sua componente più contenutistica e considerato nella sua valenza puramente formale. Da qui, la funzione imprescindibile che nell’estetica proustiana riveste la metafora; da qui, soprattutto, la formazione di compromesso che regge l’intera opera: da una parte, l’intelligenza analitico-razionale, dall’altra, la pretesa di ritagliare la realtà secondo associazioni inedite e sorprendenti.

Pur attraverso un approccio diverso – all’interpretazione d’insieme si sostituisce una straordinaria explication de texte –, Logica falsa e prestigio vano: una lettera di M. de Charlus (1983) contribuisce ad affermare un’immagine di Proust più dinamica e moderna, illuminando i meccanismi retorici di una comicità in cui il tasso ironico non nasconde una segreta partecipazione. Ultimo contributo del volume, nonché il più consistente in termini di estensione, Proust, Sainte- Beuve e la ricerca in direzione sbagliata (1974) rappresenta il punto di fuga ideale dell’intera raccolta. Un’articolata analisi tematica conduce infatti Orlando a sviluppare un’intuizione che negli studi genetici a venire avrebbe poi trovato conferma grazie all’ausilio dei manoscritti: il rapporto di continuità che, proprio in base alla contrapposizione fondamentale tra una «ricerca in direzione sbagliata» e «una non-ricerca in direzione giusta», si dà tra il Contre Sainte-Beuve e la Recherche.

Di fronte a contributi caratterizzati, se non da una vera e propria relazione di organicità, almeno da un illuminante orizzonte interpretativo, è forse ozioso chiedersi cosa sarebbe stato quel libro – stavolta sì, organico e coerente – che Orlando non ha mai scritto sulla Recherche. Meno scontato può essere invece domandarsi quali sono le ragioni che hanno impedito la realizzazione di un tale progetto. A questo interrogativo prova a rispondere Pellegrini nella postfazione che chiude il volume: dove il dialogo che Orlando stabilisce con Proust lungo tutta la sua carriera è visto come inscindibile dai nodi irrisolti di una formazione sentimentale, sociale e intellettuale – in breve, identitaria – strettamente legata al rapporto con il primo maestro Tomasi di Lampedusa.

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