[ Sapienza Università Editrice, Roma 2021 ]
Lo studio di Raffini è dedicato alle riviste letterarie in cui la riflessione teorica e l’apertura europeista (che coinvolge anche la letteratura statunitense) significò distanziamento ideologico – più o meno esplicito o dichiarato – dal fascismo. L’attenzione è rivolta in modo particolare alla ricezione della poesia, campo in cui le riviste «presentano un carattere fortemente anticipatorio rispetto all’editoria classica» (p. 9).
Partendo dal presupposto che l’europeismo fu innanzitutto «una necessità intrinseca all’epoca», e solo in un secondo momento «dato di rivolta» al regime (p. 12), lo studio procede in accordo a uno schema ben definito. A ogni capitolo corrispondono una o più riviste, pubblicate negli anni Venti e Trenta (in un periodo, cioè, in cui le riviste letterarie alimentano gran parte del dibattito e del fervore culturali), per ciascuna delle quali vengono analizzati due aspetti principali; vale a dire il suo posizionamento teorico in merito all’europeismo, dedotto dalle dichiarazioni programmatiche e dai contatti e scambi tra redazioni, e la ricezione effettiva di testi e autori stranieri, con un occhio di riguardo alle pratiche di traduzione. A questo proposito, Raffini rileva come i testi tradotti vengano connotati dal – e a loro volta connotino il – polisistema d’arrivo; si crea quindi uno scarto in virtù del quale è possibile cogliere il valore politico insito nell’azione culturale delle riviste letterarie in questione.
Il tradizionalismo della «Ronda» si lega allora a un’idea di classicismo contrario alle avanguardie e «all’ascesa degli estremismi» politici (p. 20). Si nota come l’attenzione del «Convegno» per l’estero sia finalizzata alla «rinascita della letteratura nazionale, secondo uno spirito di rifondazione» (p. 35). Riviste gobettiane quali «Energie Nove» e «La Rivoluzione Liberale» sono apertamente militanti e «la scelta in favore della sprovincializzazione della cultura è fin da subito una scelta politica» (p. 50). Nell’ambiente della «Cultura» spicca la figura di De Lollis, sostenitore dell’unità culturale europea e di un approccio modernamente comparatistico agli studi letterari. Nella «Fiera Letteraria» l’apertura alle letterature straniere è prima di tutto riconoscimento di una civiltà europea contrapposta alle più recenti derive “psicologiste” e “decadenti”. L’europeismo di «900» passa attraverso le idee di traducibilità e narratività (nell’ottica, anche, di un superamento delle barriere nazionali). In questo panorama, «Solaria» si pone in continuità con esperienze già avviate, e l’attenzione all’estero è mezzo di riscoperta nazionale (come avviene con Svevo). «Circoli» esemplifica la tendenza a considerare in modo prioritario la contemporaneità letteraria, nella promozione di una poesia europea e antiretorica. L’ultimo approfondimento è dedicato a tre eredi dell’europeismo solariano, «Letteratura», «Campo di Marte» e «Corrente», grazie alle quali Raffini coglie il potenziale genuinamente militante della ricezione letteraria, delle pratiche traduttive e della formulazione di un canone europeo lungo il corso degli anni Trenta.
Nel complesso, lo studio chiarisce il contributo delle riviste letterarie italiane entre-deux-guerres, e concretizza lo studio dei posizionamenti teorici attraverso la ricostruzione puntuale delle relazioni tra gli esponenti delle letterature straniere e gli intellettuali italiani, fornendo informazioni preziose sui contenuti delle riviste (specificando, quindi – grazie a un attento lavoro d’archivio – quanti e quali spazi vennero dedicati alle opere dei vari Paesi). La linearità metodologica ne fa un libro prontamente consultabile, che suggerisce, infine, il suo stesso prosieguo: ossia «il discorso sull’europeismo delle riviste allineate» al regime (p. 146), che arricchirebbe senz’altro – rendendo conto delle «strategie retoriche» (ibidem) cui gli intellettuali furono costretti – il lavoro avviato in «Trovare nuove terre o affogare».
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