[ Mimesis, Milano-Udine 2021 ]
Il libro di Serena Vandi esplora il rapporto tra due titani della letteratura italiana: Dante Alighieri e Carlo Emlio Gadda. Il progetto è ambizioso e suggestivo. Non solo perché ricostruisce l’influenza di Dante in Gadda (cosa che sorprendentemente non era ancora stata fatta in maniera così puntuale e sistematica), ma soprattutto perché, adottando il concetto di “comparazione intraculturale”, va oltre l’ambito di uno studio tradizionale sull’influenza letteraria per sondare le possibilità offerte da un approccio comparativo all’interno della stessa tradizione letteraria. L’idea è «di interpretare Dante attraverso Gadda e Gadda attraverso Dante» (p. 298). Il libro impiega una metodologia originale, proponendo la nozione di satura: non seplicemente come categoria di genere letterario ma come chiave interpretativa che permetta di abbracciare questioni sia formali che contenutistiche. L’ipotesi è che «Dante e Gadda abbiano in comune non solo una tendenza alla varietà (non solo linguistica e stilistica), ma anche un’idea di letteratura quale missione etico-gnoseologica di rivelazione di una verità complessa, e che soprattutto abbiano in comune precisamente il nesso essenziale tra questi due aspetti: varietà e verità; nesso che si chiamerà satura» (p. 35) . L’uso di satura dunque arricchisce l’idea di plurilinguismo di Contini, non limitandola esclusivamente a questioni di retorica e stile. Anzi, impostando il confronto sulle ragioni etiche e gnoseologiche della scrittura, Vandi sembra sostanziare, applicandola all’opera di Gadda, quella che Calvino identificava come la «vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mosso da una spinta conoscitiva» (Calvino, Saggi, I, p. 233).
L’impianto argomentativo è rigoroso, chiaro e avvincente. Nulla è mai di troppo: dal portentoso e inedito repertorio di immagini dantesche e gaddiane commentate con acutezza ai sofisticati close reading che confermano in termini testuali la validità delle intuizioni critiche. La nozione di satura si rivela una chiave ermeneutica preziosa per la comprensione del mondo poetico dei due autori. E davvero Dante serve a illuminare Gadda e viceversa in modi inaspettati. Si prendano Dante e Gadda nel loro ruolo riconosciuto di «prolifici neologisti» (p. 209): l’idea della saturazione (come varietà per verità) è mirabilmente esemplificata mettendo a confronto i parasinteti dantisti non tanto con i parasinteti gaddiani quanto con una categoria riconosciuta ma non ancora trattata compiutamente: i composti con il trattino di Gadda. Un altro esempio è l’enumerazione, che è cifra caratteristica della prosa gaddiana, non invece particolarmente studiata in ambito dantesco; eppure gli esempi del capitolo 4 ci mostrano quanto il tipo di enumerazione “irrazionale” del Paradiso, «nel cercare di comprendere i più profondi misteri teleologici, comunic[hi] il senso irrazionale di meraviglia provocato da quella idea di totum simul, come nell’enumerazione gaddiana di gioielli» (p. 175), confermando così l’enumerazione come tecnica fondante la scrittura in Dante quanto in Gadda. Similmente il topos dell’ineffabilità è argomento precipuo della dantistica:
«[e]ssendo viaggio eccezionale nell’aldilà, il poema dantesco è trapuntato di esplicite dichiarazioni di difficoltà nel ridire ciò che il pellegrino ha esperito» (p. 252); a queste dichiarazioni Vandi suggestivamente contrappone le riflessioni metaletterarie e «la “penosa fatica” del definire che Gadda lamenta e mette in pratica nella Meditazione» (p. 258).
Insomma, evidenziando l’impegno profondo e totalizzante di Dante e Gadda nei confronti del linguaggio e delle esigenze di rappresentazione della realtà, Vandi ci offre non solo uno strumento indispensabile per lo studio di Dante e Gadda, ma anche un libro appassionato e appassionante sulla letteratura, che ci fa riflettere sull’essenza e le funzioni del testo letterario in generale.
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