È ben noto che l’analisi diacronica dei temi letterari – la cosiddetta tematologia – ha avuto vita a dir poco difficile. Troppo perentoriamente esaltata dagli studi positivisti, inclini alla catalogazione meccanica o agli ingenui tracciati evolutivi; troppo risolutamente ostracizzata, bistrattata o rimossa dalle scuole successive, dalla critica idealista chiusa sulla valutazione dei testi, da quella strutturalista concentrata sull’architettura delle forme, da quella decostruzionista convinta della deriva continua del senso.
Accantonata inoltre dalle stesse riprese della critica tematica (di Georges Poulet e Jean-Pierre Richard in particolare), dedicate all’universo di una singola opera o di un singolo autore; infine tornata in auge, ma in maniera tutt’altro che pacifica, fin dall’inizio all’insegna di discussioni, confutazioni, perplessità. Né la prepotenza né la burrascosità del suo ritorno sono casuali. A farle riguadagnare peso è stato soprattutto lo spiccato potere di mettere a fuoco, a più livelli, il rapporto della letteratura con la realtà; di richiamare l’attenzione sia sui suoi legami con l’orizzonte antropologico e l’inconscio collettivo, sia sulle sue relazioni con i mutamenti storici.
Ma altrettanto spiccati sono apparsi i costi di tale potere: il pericolo di omologare il discorso letterario a quello sociale, la tentazione di ridurre i testi a documenti di indirizzi culturali o di costanti sempiterne.
Fai sul pulsante in basso per scaricare l'articolo completo in formato Acrobat PDF.
Se vuoi abbonarti alla rivista o acquistare la versione cartacea fai clic sul pulsante per accedere alla pagina acquisti e abbonamenti.
Lascia un commento