«Un minimo lavoro di storicizzazione serve solo a tracciare la cornice di uno sguardo puntato in modo disincantato sul presente» (p. VIII). La dichiarazione programmatica di esordio di Federico Bertoni illustra uno dei motivi che hanno suscitato in me, a libro schedato e chiuso, una reazione articolata e complessa, non priva di ambivalenza.
Da un lato, è bene affermarlo con chiarezza, si tratta di pagine che mi piacerebbe saper scrivere, e non ne sarei capace: per l’efficacia della descrizione, in apparenza piana e diretta, ma basata su un uso raffinato e su un controllo pieno di testi e strumenti analitici – l’università rappresentata attraverso Stendhal e Flaubert, Baudrillard Jakobson e DeLillo spiazza e attrae il lettore di libri di storia; più consueto, e troppo pervasivo, il foucaultismo di fondo – che sostengono una tessitura efficace e accattivante.
D’altra parte mi sono rimasti dubbi e perplessità tanto sul piano diagnostico che su quello degli spazi di azione – la soluzione del professore, delineata nella sezione conclusiva –, delle prospettive in senso lato politiche.
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