Federico Bertoni scrive sui mali dell’Università italiana un libro elegante e onesto. Ha l’eleganza di una scrittura fine nell’ironia e pacata nella polemica; l’onestà di chi racconta un’esperienza personale, riconoscendone i limiti e la soggettività. È però anche un libro abile, scritto da un critico letterario, specialista di retorica del racconto, che non solo decostruisce lo storytelling dominante, la «narrazione egemone» nell’odierno discorso sociale sul sapere (quella della tecnocrazia neoliberale, che feticizza, spesso snaturandoli, merito, eccellenza e valutazione, ormai «segni vuoti senza referente», p. 24: questa la tesi di fondo), ma costruisce anche un opposto paradigma narrativo, riassunto in un decalogo conclusivo, largamente ispirato a una generosa etica “di sinistra” e volto a suggerire pratiche di resistenza, ancora possibili – secondo l’autore – soltanto «negli interstizi funzionali del sistema» (p. 118). Implicitamente, il libro suggerisce che tertium non datur; che, anzi, chi dissentisse dalla critica radicale, di matrice scopertamente foucaultiana, della “governamentalità” universitaria neocapitalista, e della bêtise burocratica che ne è, secondo Bertoni, lo strumento principe, lo potrebbe fare soltanto perché ha introiettato le richieste di un potere pervasivo e sottilmente totalitario. Universitaly costruisce insomma per il recensore eventualmente maldisposto una trappola non meno perfetta di quella che denuncia nei vigenti sistemi di valutazione della ricerca o di esaltazione delle autoproclamate “eccellenze”: solo un flaubertiano «Professor Homais dalla stupidità assolutamente perfetta» (p. 42) potrebbe in buona fede dichiararsi in disaccordo con Bertoni. Il sistema impedisce di pensare e di agire a chi non ne riconosca l’onnipotenza, smascherandola (con quali strumenti, se fuori del potere non c’è “discorso”?): è il paralogismo che inficia – sia detto per inciso, e in modo molto spiccio – la maggior parte delle (troppe e quasi sempre inutili: filosoficamente non falsificabili e politicamente inerti) interpretazioni della contemporaneità ispirate a Foucault; e cui a tratti Bertoni non sfugge.
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