[ Einaudi, Torino 2023 ]
In un articolo uscito sul «Sole 24 Ore» nel maggio del 2010, Sergio Luzzatto si augurava che qualcuno prima o poi scrivesse «una biografia non giornalistica né familiare di Giangiacomo Feltrinelli», o «una storia non giornalistica né autobiografica di Potere operaio». Nessuna allusione, invece, alle Brigate rosse: forse perché di libri sul partito armato ce n’erano già abbastanza, o forse perché sapeva che sarebbe toccato a lui scrivere uno dei migliori testi sull’argomento.
Dolore e furore (la formula viene da una lettera privata di Rossana Rossanda all’autore) è appunto «una storia delle Brigate rosse», e delle Brigate rosse osservate attraverso una lente particolare: quella della città di Genova. La stessa città dove Luzzatto è cresciuto, e che è stata la culla di tanti eventi- simbolo della storia italiana degli anni Sessanta e Settanta: dagli scontri di piazza del 1960 contro la convocazione in città del congresso dell’MSI al primo rapimento firmato Brigate rosse (il sequestro Sossi del 1974), dall’omicidio del magistrato Francesco Coco (1976) all’uccisione di Guido Rossa (1979), l’operaio comunista accusato di delazione e perciò assassinato da un commando brigatista capeggiato da Riccardo Dura.
Se alla figura di Guido Rossa Luzzatto aveva dedicato Giù in mezzo agli uomini (Einaudi 2021), questo suo lavoro sulle Brigate rosse (appassionante, documentato, godibilissimo) può essere letto innanzitutto come un testo su Riccardo Dura: il «marinaio alla Conrad», passato nel volgere di dieci anni da essere un giovane disadattato e ribelle – ospite degli istituti psichiatrici e rieducativi della città – al ruolo di comandante di una delle colonne più attive e feroci delle Brigate rosse. Un uomo silenzioso e solitario diventato l’emblema del «terrorista perfetto», talmente sfuggente da essere riconosciuto a fatica persino dopo la sua fine tragica (la morte, in circostanze mai del tutto chiarite, durante l’irruzione nel covo di via Fracchia da parte dei Carabinieri del generale Dalla Chiesa il 28 marzo 1980).
Negli undici capitoli del volume, Luzzatto parte da lontano: racconta dell’infanzia e dell’adolescenza turbolente di Riccardo Dura, e soprattutto della sua reclusione sulla nave-scuola Garaventa, una sorta di riformatorio ormeggiato nel porto di Genova. E non rinuncia a fornire un quadro d’insieme convincente e dettagliato del milieu cittadino dell’epoca: dalla stessa nave Garaventa, dove operava come cappellano un’altra figura del movimentismo genovese di quegli anni (don Andrea Gallo), alla facoltà di Lettere e Filosofia in via Balbi, presso la quale insegnavano i due maîtres à penser dell’estremismo di sinistra locale, Gianfranco Faina ed Enrico Fenzi. La bravura di Luzzatto (e la bellezza di queste seicento pagine) sta nella capacità di riannodare continuamente i fili del discorso e di restituire al lettore una ricostruzione in cui davvero tout se tient: ancora da Genova, e dalla nave Garaventa, bisogna infatti partire per comprendere la vicenda politica e umana di un altro personaggio di spicco nella storia delle Brigate rosse, Giovanni Senzani. Giovane neolaureato, cognato di Enrico Fenzi (i «cognati rossi» del capitolo XI), Senzani partì proprio dalla Garaventa per una ricerca sugli istituti di pena per minori in Italia che venne poi pubblicata sull’Espresso nel 1969, suscitando scalpore: e sarà sempre questa ossessione carceraria a guidare Senzani nella sua personale scalata ai vertici delle Brigate rosse, che condurrà verso un «finale wagneriano» (p. 560).
Nel racconto, rimangono giustamente sullo sfondo vicende e personaggi già noti: la fondazione delle BR, i leader del “nucleo storico” (Curcio, Franceschini, Cagol), i giorni convulsi del sequestro Moro. Ma è una scelta in levare che contribuisce ad arricchire questo libro, la cui forza risiede in una tensione narrativa, in una cura documentaria e una felicità di scrittura rare.
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