[ Einaudi, Torino 2019 ]
È uscito nel 2019 il libro che raccoglie tutti gli scritti che Pier Vincenzo Mengaldo ha dedicato a Primo Levi. I saggi, che coprono un arco temporale di più di trent’anni (dal 1986 al 2018), non sono organizzati in ordine cronologico, bensì tematico: il volume si apre con una prima sezione di carattere generale sull’opera dello scrittore, per poi concentrare nella seconda parte alcune analisi specifiche di Se questo è un uomo, La tregua e I sommersi e i salvati.
Perno del libro è Lingua e scrittura in Levi. Pubblicato per la prima volta nel 1990 nelle Opere einaudiane della «Biblioteca dell’Orsa», il saggio è una ricca e dispiegata analisi retorica e stilistica della scrittura leviana, un articolato carotaggio nel suo tessuto verbale che non ha avuto e non ha eguali. Vi si prende in esame l’intera opera di Primo Levi con affondi sia diacronici che sincronici. Riletto nella progressione di questa raccolta, ci si accorge che è anche l’unica occasione in cui Mengaldo si concede di prendere in esame le opere «non di Lager»: non solo Il sistema periodico e La chiave a stella, su cui pure ogni tanto ritorna, ma anche e soprattutto i racconti fantastici e fantascientifici, quel Levi minore su cui ancora oggi scarseggiano analisi stilistiche. Molti degli studi che compongono questa raccolta sono corollari strutturati di quel primo e capitale lavoro: letture ravvicinate di Se questo è un uomo e di La tregua, ma anche approfondimenti di alcuni tratti caratteristici della prosa leviana, come la centralità degli stacchi avversativi, delle «mosse sperimentali», la prevalenza del sistematico sull’aneddotico, la funzione Dante in relazione al racconto su Auschwitz, le scelte dei tempi verbali e il loro riverbero nella costruzione del cronotopo del racconto sia del Lager che del viaggio di ritorno attraverso l’Europa centrale. Anche quando giunge a conclusioni in larga parte condivise dalla critica, l’originalità di questi saggi risiede nel campionario di prove testuali e nella loro peculiare classificazione. Si può ricorrere solo a questo libro se si vuole avere un’idea di come Levi utilizzi le proposizioni causali, la sinonimia o la correctio. La raccolta si chiude con un saggio dedicato ai Sommersi e i salvati, il più eterogeneo ma non per questo meno importante. È infatti l’unico della raccolta scritto da Mengaldo quando Levi era ancora in vita. È una recensione molto lucida, che già all’epoca colse i nodi più problematici e tormentati del libro (su tutti, il capitolo «Violenza inutile» e la discussione con Jean Améry) e insieme la sua luminosità analitica. Ha inoltre il merito di essersi fin da subito contrapposto alle letture testamentarie dei Sommersi proliferate all’indomani della morte di Levi.
Pur ammettendo la presenza massiccia di ossimori e paradossi nella prosa dello scrittore, Mengaldo resta fedele, in questo saggio come nell’intero libro, all’immagine di Levi narratore-saggista e strenuo razionalista. Tuttavia si scorge un movimento, all’interno del libro, che riverbera in parte quello della critica leviana degli ultimi trent’anni: il percorso dallo studio del Levi testimone a quello del Levi scrittore, a cui Lingua e scrittura in Levi ha contribuito in modo decisivo. Per Primo Levi può dunque essere letto anche come un invito a proseguire e rilanciare un’analisi complessiva della lingua e dello stile leviano che metta in luce anche le zone d’ombra, le contraddizioni, gli aspetti irrisolti e impuri che vi albergano.
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