La Scienza nuova di Vico sembra conoscere fasi di particolare rilevanza in occasione di (o immediatamente dopo, o per dar ragione di) eventi di cri- si, frattura, caos, rivoluzione, violenza, restaurazione. Il suo linguaggio poetico, a tratti difficile, capace di immergersi completamente nella stessa “oscurità” che esamina, e allo stesso tempo sempre in cerca di regole, logiche, ritorni, coincidenze, spiegazioni, non solo ha contribuito a spiegare ai suoi lettori post-rivoluzionari le origini del fallimento degli eventi successivi al 1789, ma ha anche fornito gli strumenti teorici per canalizzare la conseguente frustrazione. Esempi ci sono dati in Foscolo, Cuoco, Cousin, Michelet, Cattaneo, autori che si sono serviti della strumentazione teorica di Vico per concettualizzare la propria epoca come un “nuovo inizio”.1 Ma anche nel Novecento si danno casi di intellettuali che hanno fatto ricorso a Vico a seguito di eventi traumatici, in particolar modo bellici: Erich Auerbach si rivolge alla Scienza nuova dopo il suo ritorno dal fronte della prima guerra mondiale, Mario Fubini lo sceglierà come oggetto per delle lezioni in un campo militare nel 1944, Carlo Levi se ne ricorderà scrivendo Paura della libertà, nel pieno di una crisi personale e di civiltà.
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