[ postfazione e nota biobibliografica di S. Verdino, Mondadori, Milano 2017]
Il nuovo Oscar Mondadori dedicato a Milo De Angelis fa il punto sul percorso di un autore che – ormai da quarant’anni – occupa un ruolo di primo piano sulla nostra scena letteraria, e si offre come uno strumento prezioso per i lettori e gli studiosi, spesso costretti a fare i conti con una realtà editoriale che rende tutt’altro che scontato l’accesso a raccolte di versi anche relativamente recenti. Rispetto alle Poesie del 2008, il nuovo volume arricchisce la percezione degli “estremi” del percorso di De Angelis. Da una parte, infatti, propone in appendice una serie di versi giovanili finora inediti: «un gruppo di poesie che alla fine del 1975, consegnando a Giovanni Raboni il dattiloscritto [di Somiglianze], avevo deciso di non pubblicare, in alcuni casi a malincuore» (pp. 377-378). Questi testi, in effetti, sembra si possano collocare senza problemi nell’ambito del “laboratorio” della raccolta d’esordio, con cui presentano evidenti affinità tematiche. Ricorrono i motivi dell’eros, del gesto atletico e del suicidio. Ricorre la propensione a privilegiare quelle «privatissime storie» che possono apparire «sciocche» a chi giudichi più urgenti i «guai generali» della Storia (p. 390). All’estremo cronologico opposto, il nuovo Oscar include le due più recenti raccolte di De Angelis, Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) e Incontri e agguati (2015). Raccolte che, presentandosi come una prosecuzione del “corpo a corpo” tra l’autore e i nuclei da sempre fondativi della sua inventio, confermano l’immagine – cara, come si sa, allo stesso De Angelis – di un “poeta del lago”. In entrambe le sillogi, in particolare, continua a giocare un ruolo fondamentale la mitopoiesi dell’origine («il vero inizio di ogni cosa», p. 331) e della fine (la morte può addirittura diventare un’«officina» in cui l’io guida, quasi tenendolo per mano, il lettore).
Incontri e agguati si chiude con una breve sezione, Alta sorveglianza, nata dall’esperienza di De Angelis come insegnante al carcere di Opera. Se l’argomento è per più versi potenzialmente “civile”, il poeta lo declina però piuttosto in una chiave “mitica”: Opera sembra esistere in una dimensione che è naturalmente estranea e completamente altra rispetto al tempo della Storia. Può valere la pena, a questo proposito, fare un confronto con il primo De Angelis: il fatto che, tanto in Somiglianze quanto nei testi giovanili, si manifestasse ripetutamente ed esplicitamente la necessità di rifiutare la dimensione storico-politica («i guai generali» di cui sopra) indicava quanto l’io non potesse dimenticarne fino in fondo la presenza e non potesse non sentirne, per così dire, la pressione. In questo senso, il parziale scarto che si registra tra i due estremi della produzione di De Angelis è tanto un segno dei tempi quanto un dato rappresentativo della direzione in cui si è mosso il suo percorso poetico. La Postfazione a Tutte le poesie, firmata da Stefano Verdino, offre ulteriori spunti per la lettura del corpus pubblicato. Riproponendo l’ormai consueta scansione tripartita dell’opera di De Angelis, la ricognizione di Verdino dà conto della complessità di un itinerario poetico che, pur rimanendo sempre fedele ai suoi nuclei tematici principali, ha conosciuto innegabilmente uno sviluppo nel corso del tempo. Nel rimarcare il potenziale «illogico» (p. 430) di certe immagini della poesia di De Angelis, Verdino fa notare che questa illogicità (che andrà intesa a un primo livello come “non immediata leggibilità”, ma anche – e più profondamente – come tentativo di ricostruire un senso non riducibile alla consueta cornice di pensiero “logico-razionale”) non corrisponde mai nella sostanza a un’«arbitrarietà» (ibidem). Si tratta di un dato che merita decisamente di essere sottolineato, e che senz’altro può contribuire a dare ragione della rilevanza che l’opera di De Angelis sta solidamente conservando nel tempo.
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