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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Tradurre. Pratiche teorie strumenti. Un’antologia della rivista, 2011-2014

[a cura di G. Petrillo, Zanichelli, Bologna 2017]

Fondata nel 201 o da un gruppo «di traduttrici e tra­duttori e di appassionati di buone letture», tra cui Ena Marchi e Susanna Basso, la rivista on-line «Tra­durre» si propone di dar voce a coloro che hanno fatto e fanno le traduzioni che leggiamo, studian­done le figure, la storia, le pratiche: non solo i tra­duttori stessi, ma anche figure “invisibili” del lavo­ro editoriale quali direttori di collana, redattori, correttori di bozze, revisori. Ora Gianfranco Petril­lo, direttore della rivista, ne cura un’antologia in volume, Tradurre. Pratiche teorie strumenti, che non vuole essere soltanto una sintesi di sei anni di articoli, bensì un’introduzione a questa originale e articolata visione del processo traduttivo. 

L’idea è colmare il vuoto che esiste attualmente in­torno alla traduzione editoriale, raccontando il die­tro le quinte di un processo tanto vario da poter essere compreso solo partendo dal conflittuale e intimo rapporto fra i diversi personaggi coinvolti. L’obiettivo è, dunque, raccontare, piuttosto che te­orizzare, l’esperienza di chi, per contingenza o per passione, si è confrontato o scontrato con le rego­le e le prassi dalla filiera editoriale, con l’intento esplicito di «rendere dignità culturale al mestiere del tradurre, svelandone, in tutti i suoi risvolti, la complessità e la ricchezza, la profondità e l’inven­tiva, la durezza e la leggerezza». 

Il volume presenta un ventaglio di contributi molto ampio, organizzato in tre sezioni: Pratiche, Teorie, Studi e Ricerche, che corrispondono alle principali rubriche della rivista. La prima ospita le riflessioni a posteriori di alcuni fra i più affermati traduttori italiani, come Enrico Terrinoni che, nel raccontare le strategie messe in campo nella traduzione dell’Ulisse di Joyce, sottolinea l’intento democra­tizzante alla base del proprio progetto traduttivo: il testo è ambiguo e demotico al tempo stesso; la lingua è tutt’altro che semplice e, proprio per que­sto, in grado di stimolare ed elevare il senso critico del lettore. Teorie apre, invece, il dibattito sulla teoria della tra­duzione. I saggi rispondono a molteplici interroga­tivi in sede teoretica e ne aprono di nuovi, spazian­do dal tema dell’approccio scientifico in campo traduttivo ai metodi di valutazione. In un interven­to chiarificatore Bruno Osimo afferma che le tra­duzioni vanno giudicate «esclusivamente in fun­zione dell’impatto che hanno sulla cultura riceven­te» e che non si debbono dunque formulare criteri normativi e prescrittivi. La sensazione è che que­sta sezione sia volutamente ridotta rispetto alle al­tre due, in modo da convogliare l’attenzione sullo spazio, ancora poco esplorato, della concreta esperienza del tradurre. 

La terza e ultima parte getta luce, infine, su alcuni dei nomi, più e meno noti, dell’editoria del Nove­cento, sui loro percorsi biografici, sulle loro relazio­ni e sui principali progetti traduttivi, indagando il contesto in cui si sono sviluppati. «Barbara si era immersa personalmente nell’attività clandestina», osserva Petrillo nel saggio su Barbara Allason e sua nipote Anita Rho, entrambe aderenti a Giusti­zia e Libertà, «ma intanto licenziava la sua tradu­zione di Also sprach Zarathustra, con una Introdu­zione in cui metteva in guardia da compiacimenti estetici. Anzi, si spingeva più in là, vedendo nel na­zismo da poco giunto al potere l’esito delle “profe­zie” nicciane, ancorché Nietzsche “non fu mai né antisemita né statolatra”». Particolarmente illumi­nanti, i saggi su Diego VaIeri, Oreste Del Buono, Na­talia Ginzburg e Gian Dàuli denotano un carattere transdisciplinare che amplia il metodo dei Transla­tion Studies servendosi degli strumenti analitici propri delle scienze sociali, in linea con gli attuali interessi del campo traduttivo cui la rivista intende fornire ampi spazi di crescita e di confronto.

 

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