[Harvard University Press, Cambridge 2015]
Teoria della lirica di Jonathan Culler è una lettura formale del genere lirico – lettura, e non interpretazione: «poetica ed ermeneutica possono essere difficili da separare, ma in teoria sono abbastanza diverse» (p. 5). Rileggendo l’Estetica di Hegel in questi termini, Culler prende le distanze dallo stesso Hegel, cioè da un’idea mimetica di lirica (sia essa espressione di un’esperienza soggettiva o di un personaggio) e da ogni tentativo di interpretazione del testo, costruendo un modello teorico avente come punti fondamentali i «momenti rituali» della lirica, che il critico divide in due gruppi: metro, ritmo, suono e ripetizione (pp. 132-185); comunicazione lirica e invocazione (pp. 186-243).
L’identificazione di questi caratteri muove da un approccio induttivo (pp. 10-38): attraverso l’analisi di nove liriche (fr. 1 V. di Saffo, l’Ode I, 5 di Orazio, Voi ch’ascoltate in rime sparse di Petrarca, Heidenröslein di Goethe, L’infinito di Leopardi, A une passante di Baudelaire, La luna asoma di Lorca, The Red Wheelbarrow di Williams e This Room di John Ashbery) e l’individuazione di quattro parametri (“lirica come voce”, “lirica come evento”, “lirica come rituale”, “lirica come iperbole”, pp. 3338), Culler pone le basi per definire la lirica come genere letterario (pp. 39-90). Culler scarta «l’ampia categoria [di] poesia, [che] ha una lunga storia ma è troppo ampia per essere usata» (p. 87). Diversamente la lirica, intesa come genere teorico e storico di lunga durata, ha una funzione duale, «diacronica e sincronica», tesa verso «una tradizione storica e verso una funzione in un sistema culturale di un particolare periodo storico» (p. 47).
La tesi più interessante e per certi più innovativa rispetto alle teorie precedenti (continentali e non) – teorie che Culler discute accuratamente nel terzo capitolo (pp. 91-131) –, riguarda l’idea della lirica quale genere “militante” nei confronti della società e del mondo: «essa offre una distinta visione del mondo – non un universo finzionale ma il nostro
mondo, in tutta la sua cupa e seducente nefandezza» (p. 124). Questo discorso è legato al problema dell’interpretazione: infatti, è solamente a partire dal ventesimo secolo che si è iniziato a cercare nuove letture della lirica; prima, invece, ciò che interessava era individuare e circoscrivere il raggio d’azione del testo poetico. Questa inversione non ha provocato solo danni gravissimi a livello pedagogico – con il conseguente allontanamento degli studenti dalla lirica (divenuta oscura e fonte, per non dire esercizio, di una semiosi infinita) –, ma anche a livello accademico, dato che la nebulosità, quasi impenetrabile, della lirica e delle sue interpretazioni ha creato una cesura che si è fatta piano piano incolmabile tra pubblico e società, a tal punto che la lirica ha perso il proprio predicato di esistenza nel mondo.
Teoria della lirica sfugge ad ogni rigida classificazione analitica. Anche i quattro parametri individuati da Culler sono letti più come possibilità e varianti potenziali per la lirica che come tratti formali che superano le barriere dello spazio e del tempo. La lirica è un fenomeno di lunga durata, soggetta a modifiche e tensioni storico-sociali, espresse da ciò che Culler chiama «triangulated address», un dialogo tra poeta, lettore e non-lettore che alimenta continuamente il tessuto lirico della poesia e la sua metamorfosi all’interno del canone occidentale.
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