[ a cura di F. De Cristofaro, Carocci, Roma 2014 ]
Il volume Letterature comparate a cura di Francesco de Cristofaro ha molti meriti, primo fra tutti quello di rivolgere attenzione ad una disciplina che, soprattutto in Italia, è stata guardata con sospetto dalla comunità accademica. La comparatistica è ancora oggi tutt’altro che maggioritaria nell’universo scolastico e in quello universitario, un limite che l’attuale difficoltà in cui versano le discipline umanistiche difficilmente permetterà di colmare. I dieci capitoli (più un utile Glossario) che compongono questo manuale sono anche dieci saggi, aspetto che sottintende un continuo compromesso fra alta divulgazione e scrittura critica. Se la scelta degli argomenti trattati è funzionale ad introdurre lo studente ad una serie di questioni, nei singoli testi i critici non rinunciano a far emergere la propria particolarità, selezionando le questioni rilevanti o intervenendo attivamente nel dibattito. Compromesso e “schizofrenia” che emergono anche nella Premessa a firma del curatore: «L’idea-forza del volume sta appunto nell’individuare, entro il dominio sconfinato della comparatistica, questioni complesse ma non onniavvolgenti e catene discorsive didatticamente efficaci» (p. 11).
I punti forti di questo volume sono innumerevoli, ma credo che sia interessante sottolinearne due in particolare. Emerge, in quasi tutti i capitoli, il legame strutturale fra letterature comparate e teoria letteraria. Gli autori sono sempre attenti a restituire la complessità teorica dietro alle questioni presentate e questo viene a toccare un altro nervo scoperto nel contesto accademico italiano: se i dipartimenti di Comparative Literatures negli Stati Uniti sono anche le sedi che animano il dibattito teorico, in Italia i due campi rimangono scissi e ugualmente trascurati, conferma di quanto lavoro debba essere fatto in seno alle singole discipline.
Altro merito del volume è quello di far risaltare, come una traccia sommersa, i nomi di alcuni modelli. Nonostante il percorso sia ampio e diversificato, i nomi di Curtius, Auerbach e Spitzer sono un riferimento ricorrente, anche nei capitoli più aperti a impostazioni multiculturali, oggetti pop e sguardi interdisciplinari. Colpisce, ad esempio, come il primo capitolo di Fusillo, Passato presente futuro, abbia una struttura quasi circolare. Il saggio ha il merito di rivolgere attenzione a nomi ed impostazioni che in Italia sono stati generalmente trascurati: l’ampia prospettiva del critico gli permette di toccare questioni come la letteratura mondo, gli studi culturali, i gender studies, le teorie sugli adattamenti, riconoscendo come la rottura epistemologica rappresentata da Foucault, Deleuze e Guattari sia stata una rivoluzione ultra-relativizzante che ha permesso di guardare in una prospettiva nuova anche ai modelli Marx e Freud: «occorre superare definitivamente le concezioni lineari e teleologiche che hanno tanto caratterizzato il Novecento, nel bene e nel male, e che provengono essenzialmente dai grandi modelli di Marx e Freud (modelli non da rinnegare, ma da ripensare)» (p. 13). Il capitolo di Fusillo è dunque una nota di fondo a cui si accordano i contributi successivi, ma, a discapito della sua ampiezza, il critico riconosce in Auerbach un punto di riferimento universale: non è casuale che Mimesis apra e chiuda il contributo, quasi a sottolineare come impostazioni solide e ancorate su testi canonici siano intramontabili anche dopo il passaggio delle ruspe di decostruzionismo e studi culturali.
Nei contributi successivi la letteratura diventa una parte rispetto al tutto delle Humanities e cinema, serie televisive, fumetto, si accostano allo specifico letterario mettendo in discussione categorie complesse come la canonicità (Antonio Bibbò), il ricorso a media differenti (Chiara Lombardi, Irene Fantappiè, Elisabetta Abignente, Giulio Iacoli), l’uso di sistemi teorici complessi (Francesco de Cristofaro, Emilia Di Rocco, Camilla Miglio, Ugo M. Olivieri).
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