Paolo Tortonese, “L’Homme en action. La représentation littéraire d’Aristote à Zola”
[Classiques Garnier, Paris 2013]
Che nessun tentativo di analisi o di storia delle teorie letterarie occidentali, se seriamente condotto, possa prescindere dal confrontarsi con la Poetica di Aristotele è un dato di fatto condiviso, ma a che cosa ci si riferisca quando si parla di “categorie aristoteliche” è un punto che trova gli studiosi tutt’altro che concordi, un elemento di ambiguità che viene continuamente rideterminato a seconda dei contesti, e talvolta semplicemente affidato al senso comune e alla generica concezione dell’aristotelismo veicolata dalla tradizione. Partendo da questa constatazione, L’Homme en action di Paolo Tortonese compie un gesto di grande valore critico: risalire alle origini della teoria aristotelica dell’arte, e della mimesis in particolare, per poi ripercorrere le fasi della sua trasmissione attraverso i secoli e in particolare i passaggi che hanno portato (attraverso una storia che è «en partie l’histoire d’une dégradation doctrinaire», p. 73) i suoi nuclei teorici principali a evolversi e mutare a seconda delle stagioni culturali, assumendo pian piano la forma con cui sono giunti fino a noi.
Rinunciando (sensatamente) a inseguire una ricostruzione storiografica di ventitré secoli, Tortonese predispone una storia dell’aristotelismo in tre grandi tappe, la prima delle quali è dedicata allo scenario della discussione filosofica antica sui problemi dell’imitazione e della rappresentazione. In particolare, il primo capitolo sottolinea, attraverso un’accuratissima analisi del testo della Poetica (che già da sola costituisce un enorme elemento di valore nel libro), la portata specificatamente antiplatonica della teoria della mimesis qui illustrata e la sua organica partecipazione al programma complessivo della filosofia aristotelica, che si contrappone a quella di Platone non solo per l’opposta valutazione del ruolo dell’arte, ma anche e soprattutto per l’identificazione di un’epistemologia immanente, che ricerca la radice della conoscenza “tra” le cose del mondo e non “al di là” o “al di sopra” di esse. Una bipartizione radicale che risulta tanto più importante in quanto è proprio il suo offuscamento, insieme al desiderio dei teorici cinquecenteschi di conciliare le due massime autorità della filosofia greca, ad avviare , in epoca rinascimentale, quel massiccio movimento di trasformazione che investe le categorie aristoteliche e che, tra slittamenti semantici e fraintendimenti intenzionali, le ricodifica secondo il modello estetico reso dominante dagli intellettuali dell’âge classique, seconda fase del percorso del libro. È infatti in questo periodo che alla progressiva fusione dei concetti platonici e aristotelici in un unico scenario prescrittivo (di cui l’autore individua con precisione tanto le forzature quanto le strategie di superamento) si aggiunge l’ossessione di una legislazione morale, che riempie di assonanze cristiane lo spazio concettuale in cui idee come il “verosimile”, il “plausibile”, il “persuasivo” e l’“ideale” tentavano di definire i loro reciproci confini, producendo la lectio classicista di Aristotele: quella versione che comincerà a essere tramandata in forma autonoma, staccandosi sempre più dalla fonte originaria, e giungendo fino a noi in una forma che, oltre a testimoniare l’evoluzione dell’aristotelismo, permette a Tortonese di ricostruire esigenze e dominanti culturali di questa complessa epoca storica, apparentemente lontana da noi, ma di fatto responsabile di molte delle nostre generalizzazioni teoriche. La parabola così tracciata trova un terzo e ultimo snodo nella stagione del naturalismo, e in particolare nelle teorie di Zola, che configurano una vera e propria riemersione “involontaria” del nucleo originale dell’aristotelismo, che si ritrova nel programma di usare la narrativa mimetica (nelle forme del roman expérimental), come mezzo per oltrepassare le apparenze del visibile e svelare i meccanismi profondi della realtà, rimettendo in gioco, seppur con un vocabolario ormai parzialmente irriconoscibile, molti dei presupposti, e molto dell’ambizione filosofica, del «véritable Aristote».