[Edizioni d’If, Napoli 2011]
Quel «quanto di erotia» che all’inizio del Pasticciaccio il narratore convoca a spiegare la lapidaria affermazione di Ingravallo («i femmene se retroveno addó n’i vuò truvà»), non era sfuggito alla critica; ma Frasca ha voluto interpretare il termine «quanto » in senso tecnico-scientifico, come un richiamo alle teorie della meccanica quantistica, che in anni molto vicini al 1927 in cui il romanzo è ambientato aveva fatto un progresso straordinario grazie a Schrödinger e alla sua equazione che descriveva il comportamento statistico delle particelle nel mondo subatomico.
Ipotizzando l’intenzione gaddiana di trasferire le scoperte più recenti della fisica nella stoffa del romanzesco, e seguendo il collegamento, ben più che suggerito dal testo ma tutto da interpretare, tra microfisica e pulsioni sessuali, Frasca ha ricostruito un Gadda con Freud e Schrödinger, dove la preposizione conserva il duplice senso di vicinanza (o analogia), e di strumentazione con cui l’oggetto da indagare viene avvicinato. La tesi di fondo di questo libro è che l’autore del Pasticciaccio abbia voluto far muovere la struttura del romanzo secondo il principio quantistico di sovrapposizione, e abbia voluto articolarne gli snodi secondo gli effetti di quel principio, l’interferenza e l’entanglement. Due particelle sono entangled quando, pur non muovendosi lungo percorsi predicibili, sono così strettamente accoppiate che qualsiasi azione su una di esse produrrà istantaneamente una reazione anche nell’altra.
Appoggiandosi su tale presupposto, Frasca dà una spiegazione persuasiva ed elegante dei legami tra i personaggi del Pasticciaccio, leggendo come entangled le coppie e le serie che popolano il romanzo: i due delitti, le due refurtive, i due investigatori, e così via. «Gliuòmmero», argomenta Frasca, è una buona traduzione di entanglement.
Il libro rivela però il suo aspetto più importante quando illustra i motivi della scelta di Gadda. La fisica quantistica si addentra nel funzionamento della materia sulla scala del molto piccolo, e punta dunque alla conoscenza del reale, ma operando con mezzi matematici completamente formalizzati è priva di ricaduta intuitiva: dei suoi procedimenti e dei suoi risultati non si dà immagine. Il romanzo invece, e la letteratura tutta, sono per costituzione intrecciati all’immagine, e all’immaginario. Se Gadda è, secondo sua dichiarazione, un «realista non contrito », uno dei suoi problemi è combinare la nuova idea del reale con la necessità di darne conto in immagine, perché non si può vivere senza un’immagine del mondo. È a questo attrito, sembra dire Frasca, che si deve la brusca interruzione, e il dire-ametà, dell’opera. Credo che una attendibile riformulazione del quadro possa suonare così: il Reale è l’impossibile, ma pur senza presentarsi mai, è quel che continua a farsi sentire: occorre ascoltarlo come si può. Introduco questo lacanismo per segnalare un’altra e fondamentale interferenza, quella del critico con l’oggetto studiato: come Ingravallo, osservatore e insieme portatore di un guasto, ossia di un carattere singolare proprio perché deviante, indaga e deforma i casi (che diventano «i “suoi” delitti »), così Frasca descrive e modifica Gadda alla luce dei suoi temi e dei suoi autori-faro, secondo un progetto di «storiografia espressionista» che porta avanti da anni.
E che qui lo porta, seguendo l’interrogativo gaddiano sulle responsabilità che avevano condotto l’Italia al Ventennio e poi alla guerra, e tenendo a fronte l’esempio di Joyce, a veder tracciato nel romanzo il quadro di una società in preda alle tendenze sadiche e omicide, ma regolamentate nelle burocrazie, delle “forze dell’ordine” (maschili e omoerotiche), coadiuvate dall’«opera rimagliatrice» di Zamira-Alcina, maga e prostituta, che per Frasca è cifra dell’immaginario nella sua versione più incantatrice, paralizzante, e, gaddianamente, “femminilizzata”. A opporsi a questa stretta fatale saranno, secondo Frasca, nel Pasticciaccio del ’57, le isteriche, Liliana in testa: pagando il tentativo con la vita.
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