[ trad. it. di E. Ganni, Einaudi, Torino 2021 ]
[ a cura di M. Francelli, Marsilio, Venezia 2022 ]
Del Werther esistono, com’è noto, due stesure. La prima, del 1774, che avrebbe scatenato la nota ondata di suicidi, e la definitiva, del 1787, in cui lo scrittore introduce qualche elemento in più per invitarci a sospendere, poco prima della catastrofe, l’identificazione con un eroe di cui vuole farci apprezzare il carattere ultramoderno ma non la scelta disperata. Se nel Settecento era normale che si traducesse la prima versione, dalla metà dell’Ottocento prevale l’uso di tradurre la definitiva: questa scelgono, a partire da Riccardo Ceroni, tutti i principali traduttori, tra cui Giuseppe Antonio Borgese, Aldo Busi e Paola Capriolo. Oggi invece sembra tornare in auge la pima. Vediamo perché. Nel 2021 Enrico Ganni, redattore einaudiano e valente traduttore di Goethe, nell’ambito della meritoria campagna di ritraduzioni di classici proposte nei «Supercoralli» come fossero letteratura contemporanea, decise di riproporre come raffinato repêchage la versione del 1774. La sua bella traduzione uscì accompagnata da alcune pagine del germanista Luigi Forte, che non erano tanto un’analisi del romanzo di Goethe quanto un omaggio allo stesso Ganni, da poco scomparso. Nobilissima operazione. Senonché, per un riflesso automatico e inopinato della macchina editoriale, nel 2022 il «Supercorallo» viene trasferito tout court nei «Tascabili», sostituendo l’edizione di studio che lo stesso Ganni vi aveva pubblicato nel 1998, e che da quasi un quarto di secolo prestava onorato servizio. Vale la pena di ricordarne la storia, perché era un esempio virtuoso della migliore editoria. Nel 1938 Giulio Einaudi, per inaugurare la collana «Narratori stranieri tradotti» ideata da Cesare Pavese e Leone Ginzburg, aveva chiesto ad Alberto Spaini, allora ammirato traduttore di Berlin Alexanderplatz di Döblin e del Processo di Kafka, di tradurre il Werther, naturalmente nella versione definitiva. Dapprima pubblicata con prefazione dello stesso Spaini, nel 1962 la traduzione venne riproposta nella «Nuova Universale» con l’introduzione di Ladislao Mittner, dove per la prima volta si spiegava chiaramente che il Werther è un romanzo “anti-wertheriano”, e nel 1998 ricomparve appunto nei «Tascabili» con una splendida introduzione di Giuliano Baioni, che svelava come il Werther sia il primo romanzo europeo che ha per protagonista un dandy nichilista. Quest’ultima edizione, ideata come si è detto dallo stesso Ganni, era un piccolo capolavoro di sapienza editoriale: la traduzione fu accuratamente revisionata e aggiornata dallo stesso Baioni, e accompagnata dal testo tedesco a fronte, da un utilissimo apparato di note a cura di Stefania Sbarra e da diversi interessanti testi di corredo. Insomma, era senza paragone l’edizione più attrezzata, tra le molte disponibili, per capire davvero il romanzo di Goethe: una delizia per i lettori e una salvezza per gli studenti. Ora che è stata messa in pensione i lettori si trovano il Werther del ’74, senza apparati, sia nei «Supercoralli» sia nei «Tascabili». Che senso ha? Per ogni grande casa editrice vittima di se stessa, però, ce n’è per fortuna una piccola che testimonia come si possa fare editoria di buon concetto e progetto. Nel 2022 anche Marsilio ha infatti pubblicato un nuovo Werther: la germanista Maria Fancelli, nell’ottima collana «Gli Elfi» da lei diretta, ha riproposto l’unica traduzione del Werther del ’74 che fosse uscita in centocinquant’anni, e da lei stessa curata per Mondadori nel 1979. Per l’occasione Fancelli, a sua volta eccellente studiosa di Goethe, non solo ha rifatto la traduzione e l’introduzione mondadoriane, ma ha aggiunto il testo tedesco a fronte e un valido apparato di commento. Così ecco una nuova, efficace edizione di studio. C’è anche una prefazione dello scrittore Jonathan Bazzi, che non aggiunge (né toglie) nulla. Fa però riflettere che anche i piccoli editori virtuosi pensino che Goethe abbia bisogno dell’endorsement di un Bazzi – forse per accalappiare qualche lettore in più? – e che una buona edizione di studio non possa essere venduta per quello che è.
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